Disturbi dell’età evolutiva

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Parlare di età evolutiva significa far riferimento al periodo di vita che va dalla nascita fino all’adolescenza (12 anni).

Tale periodo, a sua volta, si suddivide a sua volta in prima infanzia, seconda infanzia e fanciullezza. Questi sono anni caratterizzati da numerosi cambiamenti sul livello fisico, cognitivo, psicologico, affettivo, emotivo, relazionale e comportamentale. Nel corso delle esperienze e dei cambiamenti che il bambino attraversa, possono emergere le difficoltà che, se nascoste, non capite o non affrontate possono determinare disagi emotivi e comportamentali. Da questo, si capisce l’importanza di prestare attenzione ai segnali che si presentano, al fine di prevenire la strutturazione, con il tempo, di un disturbo più invalidante nella vita del bambino/a.

I canali attraverso i quali il bambino può esprimere il proprio disagio sono prevalentemente quelli emotivi, somatici e quelli comportamentali, con delle differenze legate sia all’età del bambino o al suo livello evolutivo, sia al contesto familiare e sociale in cui cresce. Alcuni segnali, ad esempio, possono essere una riduzione del peso corporeo, un peggioramento nel rendimento scolastico, una difficoltà nelle relazioni sociali, un comportamento oppositivo e provocatorio, esplosioni di rabbia, episodi di enuresi, difficoltà a dormire, mal di pancia e di testa, tristezza, paure e ansie apparentemente ingiustificate. Lo stesso bambino potrebbe, man mano che attraversa le varie età e fasi evolutive, modificare la modalità di manifestazione del proprio disagio.

 

Sviluppo, compiti evolutivi e disturbi

Lo sviluppo di un bambino è un processo complesso che ha alla sua base numerosi fattori, che coinvolgono le relazioni reciproche tra il bambino, il contesto in cui cresce e le figure significative di accudimento.
Ogni bambino durante lo sviluppo deve affrontare una serie di compiti evolutivi per poter raggiungere le fasi evolutive che seguono, acquisire nuove capacità di autoregolazione e lo sviluppo di funzioni cognitive, emotive e relazionali più adattive e funzionali. Per fare ciò passa attraverso successivi momenti di adattamento e disadattamento. Lo sviluppo può aver luogo in modo non lineare, attraverso successive fasi che implicano successive riorganizzazioni. Il fatto che la progressione non sia lineare significa che ogni nuova capacità, ogni nuova funzione, ogni nuova struttura che emerge dal superamento (o dalla difficoltà) di un determinato compito evolutivo, non sostituisce le precedenti, ma si integra ad esse e le incorpora. Questo significa che le esperienze precedenti nel corso dello sviluppo vanno ad influenzare e a vincolare le successive riorganizzazioni del processo di sviluppo e pertanto possono andare a costituire dei fattori di vulnerabilità (che possono favorire lo sviluppo di disturbi) oppure dei punti di forza (che proteggono da eventuali disturbi).

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Cogliere precocemente eventuali segnali di disagio ed intervenire è fondamentale. C’è anche da dire che non sempre un segnale di disagio si traduce in una patologia. Un bambino può trovarsi ad affrontare una crisi evolutiva (es. cambiamenti del corpo in preadolescenza) o una crisi adattiva (es. affrontare una nuova situazione) che fanno parte del normale sviluppo e si manifestano quando la maturazione si ferma temporaneamente o regredisce in presenza di fattori precipitanti esterni.

Ci sono inoltre situazioni in cui il bambino si trova a dover affrontare eventi di un certo peso e che possono mettere a dura prova la capacità di riprendere serenamente il percorso evolutivo. Questi eventi possono essere fisiologici o legati al ciclo di vita della famiglia, ad esempio, un lutto o la separazione dei genitori, o l’inizio di un nuovo ciclo scolastico che comprende l’incontro con i pari, l’apprendimento di nuove regole e il soddisfacimento di prestazioni scolastiche, etc., oppure eventi traumatici, ad esempio, abusi o maltrattamenti o un incidente che possono mettere a dura prova l’integrità psichica del bambino e favorire lo sviluppo di disturbi.

Quando gli “spostamenti” dal normale percorso di sviluppo assumono caratteristiche più stabili e durature conducendo all’espressione di sintomi che ostacolano la quotidianità e lo sviluppo, è utile pianificare velocemente un intervento, in quanto la plasticità del funzionamento mentale del bambino consente di ipotizzare che l’esito vada in direzione più positiva quanto più precoce sarà l’intervento.

 

 

In età evolutiva appare importante distinguere i disturbi che riguardano lo sviluppo del sistema nervoso da quelli di origine emotiva e relazionale.

 

I disturbi del neurosviluppo vanno ad invalidare lo sviluppo del sistema nervoso durante la vita della Persona.

Comprendono numerose categorie diagnostiche:

  • Disabilità intellettive: disturbo dello sviluppo intellettivo.
  • Disturbo dello spettro autistico.
  • Disturbo della comunicazione (disturbo di linguaggio, disturbo fonetico-fonologico, disturbo della fluenza, balbuzie, disturbo della comunicazione sociale, della pragmatica).
  • Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
  • Disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) (dislessia, disortografia, discalculia, misto).
  • Disturbi del movimento (disturbo dello sviluppo della coordinazione, disturbo da movimento stereotipato).

 

Depressione infantile

Lo stato depressivo descrive comporta cambiamenti nel tono dell’umore, nel pensiero e nel comportamento. Tra i sintomi emergono tristezza, pianto, irritabilità, perdita di piacere/interesse per le attività quotidiane. Nei bambini è molto presente anche la rabbia. Le modificazioni cognitive causate dalla depressione includono scarsa capacità di concentrarsi e ridotte prestazioni nelle attività scolastiche. Sono presenti anche sentimenti di inutilità, colpa, mancanza di fiducia in se stessi.

 

Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente

I bambini o i ragazzi possono manifestare una persistente irritabilità e frequenti episodi di estremo discontrollo comportamentale, in cui però c’è una chiara componente legata all’umore. Si manifesta tramite espressioni verbali o fisiche che si traducono in “sfoghi” verbali o comportamentali, di solito carichi di rabbia, caratterizzati da un’intensità, una frequenza e una durata che appaiono inappropriate rispetto alla situazione, e che non sono adeguati al livello di sviluppo del bambino o ragazzo. Spesso, queste reazioni si manifestano a seguito di una frustrazione. La reazione sul piano verbale può consistere in un’estrema rabbia espressa a parole in modo eccessivo e inadeguato, mentre sul piano del comportamento, la reazione può consistere in azioni fortemente aggressive e distruttive contro le cose, contro gli altri, ma anche contro se stessi.

 

I bambini possono esprimere paure che si fondano su realtà o sull’immaginazione. Talvolta non è facile distinguere tra questi due piani. Uno stato di ansia realmente sperimentato dal bambino ha forte impatto sul suo comportamento abituale. Se l’ansia è eccessiva per frequenza, intensità e durata, può essere considerata espressione di un disagio reale.

 

Segue una classificazione dei problemi d’ansia in età evolutiva:

Disturbo ossessivo compulsivo

La caratteristica essenziale di questo disturbo è costituita dalla presenza di ricorrenti ossessioni e compulsioni in misura tale da interferire con la normale routine di vita del bambino. Le ossessioni sono pensieri, immagini mentali o impulsi che si presentano con frequenza e persistono per lunghi periodi. Le compulsioni sono, invece, comportamenti che spesso accompagnano le ossessioni e che hanno lo scopo di prevenire il verificarsi di eventi temuti o di ridurre la tensione interiore (es. lavarsi in continuazione le mani, i denti o il corpo, il controllare ripetutamente oggetti dell’ambiente e ripetere alcuni comportamenti rituali). Lo scopo di tutti questi comportamenti è quello di placare e/o eliminare certi pensieri ossessivi e l’ansia che ad essi è collegata.

 

Disturbo d’ansia da separazione

Il bambino tende ad avere una reazione emotiva inadeguata al suo livello di sviluppo manifestando ansia eccessiva quando si deve separare dalle figure di riferimento. Questa ansia si manifesta con:

  • Preoccupazione non realistica circa incidenti che potrebbero capitare alle persone a cui il bambino è legato in maniera particolare, o la paura che esse vadano via e non ritornino.
  • Preoccupazione non realistica che qualche evento sfavorevole (smarrimento, rapimento, ricovero in ospedale, uccisione o morte naturale) possa separare il bambino dalle persone amate.
  • Persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola in quanto ciò comporta distacco e separazione dalle figure di attaccamento.
  • Persistente riluttanza o rifiuto di andare a letto e di dormire se non è presente nella stanza un genitore.
  • Persistente ed inappropriata paura di stare solo o comunque senza la figura a cui il bambino è particolarmente legato, anche per breve tempo.
  • Incubi ripetuti relativi alla separazione dai genitori.
  • Comparsa ripetuta di sintomi somatici (mal di testa, nausea, vomito, mal di stomaco) nelle occasioni in cui si verifica la separazione da una delle figure di attaccamento, per esempio al momento di recarsi a scuola.
  • Sofferenza eccessiva, ricorrente (che può manifestarsi con ansia, pianto, collera, tristezza, apatia o ritiro sociale) prima, durante o immediatamente dopo la separazione da una delle persone di riferimento.

 

Disturbo d’ansia sociale

Questo disturbo è caratterizzato da eccessiva timidezza nei confronti di persone poco familiari. La timidezza diventa così intensa da rendere impossibile, per il bambino, i normali rapporti interpersonali e porta ad evitare ogni contatto con persone con cui non sia in confidenza.
Il bambino appare, al di fuori della famiglia, socialmente isolato, timoroso, appartato. Teme di dire o fare cose che possano risultare imbarazzanti o umilianti.

 

Disturbo d’ansia generalizzata

Questo disturbo è caratterizzato da uno stato di eccessiva ansia e di preoccupazione immotivata ed irrealistica anche in assenza di particolari avvenimenti ambientali. Il bambino presenta spesso concomitanti manifestazioni somatiche (svariati malesseri), un’eccessiva tensione e preoccupazione riguardo al proprio comportamento e richiede continue rassicurazioni senza le quali non riesce a portare a termine i propri impegni. La preoccupazione può riguardare eventi futuri come una verifica scolastica o una visita medica o eventi già verificatisi come un’interrogazione o situazioni nelle quali può essere messa in dubbio l’adeguatezza del suo comportamento, come quando sta insieme ai suoi pari. Il bambino ansioso può avere tendenze perfezionistiche che lo portano ad impiegare tempi eccessivi per il completamento di un compito o all’evitare certi impegni per paura di sbagliare ed essere giudicato.

 

Fobie specifiche

Si esprimono attraverso un’eccessiva e persistente paura nei confronti di particolari oggetti, animali o situazioni. Tale paura può interferire con il normale funzionamento dell’individuo e con la vita dei familiari.

 

Disturbo di panico

E’ caratterizzato dall’insorgere improvviso di uno stato d’intensa paura o terrore, spesso associato ad un senso di pericolo imminente o di minaccia. La sintomatologia è caratterizzata da astenia, capogiri e sensazione di testa confusa.
All’esordio del disturbo, generalmente gli attacchi di panico si presentano in maniera inattesa e imprevedibile, anche se nel corso del disturbo possono essere scatenati da situazioni o luoghi particolari. L’attacco di panico viene vissuto con un’intensa sensazione di angoscia che il bambino fa fatica ad esprimere.

 

Mutismo selettivo

Il bambino si presenta come incapace nel parlare e nel comunicare in modo efficace in contesti sociali da lui selettivamente percepiti come minacciosi, ad esempio, la scuola. Al contrario, negli ambienti in cui si sente al sicuro ed è a proprio agio, il bambino comunica perfettamente e si esprime liberamente. I bambini con mutismo selettivo rimangono immobili, non interagiscono, non iniziano un gioco e a volte non rispondono agli inviti al gioco dei compagni. Anche il linguaggio del corpo può essere impacciato, lo sguardo sfuggente e assente, il viso inespressivo.

 

Disturbo reattivo dell’attaccamento (RAD)

Viene espresso dal bambino come un disturbo internalizzante con sintomatologia depressiva e comportamento ritirato.

Disturbo da impegno sociale disinibito (DSED)

È un disturbo dell’attaccamento, caratterizzato da disinibizione e comportamento esternalizzante, che rende un bambino tendente ad avvicinarsi attivamente e interagire con adulti non familiari o estranei. Questo disturbo si riferisce a quell’insieme di sintomi che appaiono come risposta protratta o ritardata ad una situazione stressante o ad eventi particolarmente traumatici (incidenti, calamità naturali, atti di violenza).

Di solito è presente uno stato continuo di allarme e difficoltà a dormire. La tonalità emotiva può oscillare tra ansia e depressione. Tipico di questa sindrome è il riemergere di ricordi angoscianti attinenti all’esperienza traumatica, accompagnato da ottundimento emozionale e da diminuita reattività agli stimoli circostanti. Nel bambino più piccolo si possono notare giochi ripetitivi nei quali vengono rappresentate tematiche inerenti all’esperienza traumatica.

In entrambi i disturbi è presente il requisito diagnostico di trascuratezza sociale, ovvero l’assenza di accudimento adeguato durante l’infanzia e un ambiente caratterizzato da abusi e dall’impossibilità di sviluppare una relazione di attaccamento sana con il caregiver.

 

Anoressia nervosa

Si può presentare nei bambini a partire dagli 8 anni e si caratterizza per il tentativo di perdere peso o di evitare l’aumento di peso tramite l’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo, il vomito auto indotto ed altri comportamenti. Nel rifiutare il cibo, i bambini possono sentire la paura di ingrassare, la presenza di una sensazione di pienezza e dolori all’addome.

 

Bulimia nervosa

Compare durante la prima adolescenza e si caratterizza per la presenza di abbuffate che vengono sperimentate come incontrollabili. Di solito per evitare l’aumento di peso bambini e adolescenti utilizzano il vomito auto indotto. Anche in questo caso la caratteristica centrale del disturbo è la preoccupazione per il peso e la forma del corpo che alimenta il tentativo di evitare l’aumento di peso.

 

Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo

Caratterizzato da una significativa perdita di peso, evidente carenza nutrizionale, uso di supplementi orali o alimentazione parenterale. Tale condizione interferisce sul funzionamento psicosociale del bambino. I bambini presentano un disturbo dell’umore che si manifesta come una lieve depressione o un’ansia generalizzata e sembra che imparino a esprimere le difficoltà emotive attraverso il corpo all’interno dell’ambiente familiare.

 

Alimentazione selettiva

Riguarda i bambini che limitano la loro alimentazione a una gamma ristretta di cibi preferiti scelti in base a consistenza, colore, odore o sapore. Quando il genitore tenta di ampliare la gamma di cibi, il bambino reagisce con ansia e disgusto e può manifestare conati di vomito.

 

Enuresi

Perdita involontaria e completa di urina durante il giorno e il sonno in un’età (5 – 6 anni) in cui la maggior parte dei bambini hanno ormai acquisito il controllo degli sfinteri. E’ un problema frequente che interessa il 10 – 15% dei bambini a 6 anni e che tende il più delle volte a risolversi spontaneamente (incidenza solo dell’1% negli adulti). Per enuresi notturna si intende non enuresi saltuaria e sporadica durante la notte, ma una situazione che si presenta con molta frequenza.

Encopresi

È un disturbo cronico, caratterizzato dall’emissione involontaria e spesso inconsapevole di feci. L’età di insorgenza è in genere quella scolare (6 – 8 anni). Il bambino che non controlla le feci è preoccupato per la sua incontinenza e spesso nella sua giornata sperimenta ansia, senso di colpa, paura di essere scoperto o accusato. Il disturbo si manifesta generalmente nelle ore diurne ed è più frequente nei maschi (3:1).

L’encopresi secondaria ha carattere transitorio ed in genere assume una valenza regressiva, reattiva ad un disagio correlato ad episodi che riguardano la vita del bambino, ad esempio, la separazione coniugale, la nascita di un fratellino, l’ingresso al mondo della scuola, un lutto, etc.

 

Disturbo oppositivo provocatorio (DOP)

I bambini presentano livelli di rabbia persistente ed evolutivamente inappropriata, irritabilità, comportamenti provocatori e oppositività, che causano invalidazioni nell’adattamento e nella funzionalità sociale.

 

Disturbo della condotta (DC)

La caratteristica clinica principale di questo disturbo è la sistematica e persistente violazione dei diritti dell’altro e delle norme sociali, con conseguenze molto gravi sul piano del funzionamento scolastico e sociale. I bambini e gli adolescenti con disturbo della condotta possono mostrare un comportamento prepotente, minaccioso o intimidatorio, innescare intenzionalmente colluttazioni, rubare affrontando la vittima, costringere l’altro fino all’abuso sessuale.

 

Bullismo

Le principali caratteristiche che permettono di definire un episodio con l’etichetta “bullismo” sono l’intenzionalità del comportamento aggressivo agito, la sistematicità delle azioni aggressive fino a divenire persecutorie (non basta un episodio) e l’asimmetria di potere tra vittima – persecutore.

 

 

La valutazione psicodiagnostica in età evolutiva

Secondo l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP), gli obiettivi della valutazione diagnostica in età evolutiva sono:

  • identificare le ragioni e i fattori che hanno portato il bambino alla valutazione;
  • ottenere un quadro del funzionamento evolutivo del bambino, sia in riferimento alla natura e al livello di difficoltà comportamentali, menomazioni funzionali, ad esempio, rimane indietro negli studi, ha poche amicizie, picchia gli altri bambini e/o preoccupazioni soggettive, sia rispetto alle sue risorse e ai suoi punti di forza in diverse aree: cognitiva, emotiva, affettiva, relazionale;
  • identificare i fattori individuali, familiari e ambientali che possono spiegare, influenzare o migliorare le difficoltà del bambino, ad esempio, la presenza di fattori psicosociali stressanti specifici o l’eventuale presenza di una rete di supporto educativo e sociale;
  • stabilire se è presente un disturbo psicopatologico e nell’eventualità porre una diagnosi differenziale;
  • stabilire se è necessario un trattamento e, in caso affermativo, sviluppare le linee guida di un intervento terapeutico.

 

 

La conoscenza del funzionamento evolutivo è dunque una componente fondamentale nella valutazione della salute mentale infantile. Lo psicologo valuta non solo abilità e/o disabilità del bambino, ma anche punti di forza, aspettative e opportunità potenziali che caratterizzano la sua vita, muovendosi in quella che lo psicologo e pedagogista sovietico Vygotskij definisce “zona di sviluppo potenziale”, concetto ispirato dalla psicologia evolutiva, che indica in che misura il bambino è pronto al cambiamento, che cosa può fare oggi con l’aiuto dell’adulto e in un futuro prossimo da solo.

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La collaborazione tra psicologo e genitori è un elemento fondamentale per il corretto intervento, sono i genitori a farsi inizialmente portavoce del disagio che il bambino non riesce ancora ad esprimere. Essi forniscono le informazioni, possono, a volte, essere presenti in seduta e soprattutto diventano una grande risorsa nel processo terapeutico.

I genitori costituiscono l’ambiente relazionale e di crescita fondamentale del bambino ed è all’interno di questo contesto relazionale che i miglioramenti progressivamente raggiunti in terapia possono essere consolidati. I genitori vengono sempre coinvolti nel percorso terapeutico, in modo diverso in base all’età e al tipo di intervento, al fine di favorire e sostenere un lavoro efficace con i bambini.

L’obiettivo generale promuovere il benessere psicologico, emotivo e relazionale nel bambino o adolescente, nella coppia genitoriale, nella coppia coniugale e nell’interno sistema famiglia.

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