Nella classificazione nosografica attuale, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), l’autoinduzione del vomito è letto come sintomo accessorio di un altro Disturbo del comportamento alimentare (DCA) quali anoressia o bulimia, una condotta di eliminazione funzionale a liberarsi dal cibo introdotto, percepito come eccessivo.
Questa condotta di eliminazione può divenire, per chi esprime un Disturbo del comportamento alimentare una compulsione, che può condurre ad una vera e propria dipendenza.
Il vomiting ha le stesse conseguenze della bulimia, da un punto di vista fisico, come la corrosione del condotto gastroesofageo, danni allo smalto dentale e alle ghiandole salivari.
Sintomi del vomiting
La Persona esegue un particolare iter che la porta ad abbuffarsi e vomitare per il puro piacere di farlo. Inizialmente queste Persone usano il vomito come soluzione per cercare di controllare il proprio peso, infatti, grazie a questa tecnica riescono a soddisfarsi di cibo, ad abbuffarsi, senza ingrassare.
Gradualmente, però, finisce col diventare un momento al quale la Persona non riesce a rinunciare per la forma di compulsione basata sul piacere che la sequenza comporta.
Si anticipa con la fantasia ed il pensiero il momento dell’abbuffata, poi si mangia il più possibile sino a sentirsi piena. Successivamente, si espelle il cibo attraverso il vomito.
Queste fasi danno alla persona un piacere che nessun’altra attività è in grado di fornire. e spesso un effetto del disturbo è proprio l’inibizione di tutti gli altri piaceri della propria vita, compreso quello sessuale.
Di seguito, il CIRCOLO VIZIOSO del vomiting:
Chi soffre di vomiting non vomita perché si è abbuffato, ma si abbuffa per vomitare.
Si possono identificare tre tipologie di Persone che praticano vomiting:
- Trasgressive inconsapevoli: di solito sono persone giovani, cognitivamente ed emotivamente fragili e inconsapevoli del “piacere intrinseco” che la ripetizione del rituale può provocare.
- Trasgressive consapevoli e rammaricate: si rendono conto del meccanismo perverso di acquisizione del piacere fino a voler interrompere il rituale, ma non ci riescono.
- Trasgressive consapevoli e compiaciute: sono consapevoli del problema, ma non hanno intenzione di rinunciare al “piacere” che il rituale induce.
Intervento terapeutico
Attualmente le linee guida internazionali indicano che l’approccio ai disturbi alimentari non può prescindere da una MODALITA’ D’INTERVENTO MULTIDISCIPLINARE effettuata da professionisti di formazione diversa (nutrizionisti, dietisti, endocrinologi, psichiatri, psicologi e psicoterapeuti, etc.) che lavorando in équipe costituiscono una rete di sostengo per il paziente.
La complessità della problematica alimentare, infatti, deve essere trattata tenendo conto di approcci terapeutici differenti che lavorano in sinergia, proiettati verso un unico obiettivo: il benessere della Persona.
L’intervento psicoterapeutico può essere associato a terapia farmacologica e si pone l’obiettivo di sostenere la Persona nel prendere consapevolezza dei processi che mantengono il disturbo e/o di prevenire la sua espressione in una forma più grave.
L’intervento psicologico si struttura analizzando la complessità del quadro sintomatologico, comprendente la dimensione cognitiva, fisiologica, comportamentale, affettiva, psicologica e socio relazionale della Persona e si può avvalere di diversificati approcci metodologici in base all’unicità del caso, tra i quali quelli derivanti dal modello sistemico – relazionale, di quello dell’ipnosi ericksoniana, oltreché della terapia EMDR, di tecniche di Mindfulness, tecniche immaginative, tecniche di rilassamento, tecniche di autoipnosi, etc., allo scopo di rintracciare gli schemi automatici e disfunzionali responsabili del mantenimento del sintomo, i quali vanno identificati, destrutturati e ristrutturati, facendo emergere modalità alternative e più adattive di costruzione della realtà.
Attraverso un PERCORSO PERSONALIZZATO, sarà possibile lavorare sulla percezione di un Sé realistico e integrato, sull’immagine corporea che la Persona ha strutturato nel tempo, sui significati emotivi che rappresentano per lei il cibo e il suo bisogno di controllo, come e quando sono stati appresi.
È necessario interrompere i circoli viziosi connessi al comportamento e/o abitudini nutrizionali e alimentari scorrette che si instaurano a partire da un pensiero automatico disfunzionale. Si lavorerà sulle emozioni di senso di colpa, vergogna, rabbia, disgusto, tristezza e autosvalutazione correlate ai disturbi alimentari, emozioni che predispongono ad un nuovo episodio critico, rafforzando la percezione di non sentirsi degni, mentre la possibilità di tollerare emozioni spiacevoli in modo più adattivo, può porre le basi per indagare gli stati emotivi profondi e i pensieri distorti che sostengono l’espressione della sintomatologia e la relazione con cibo, nonché la possibilità di apprendere abilità specifiche per gestire meglio le proprie emozioni senza ricorrere all’utilizzo del cibo come strumento per veicolarle.
L’intervento psicologico prevede l’approfondimento della storia di vita della Persona, della storia del sintomo e il significato dello stesso all’interno dei suoi mondi relazionali. Si sostiene la motivazione al cambiamento e si lavora, inoltre, sull’acquisire consapevolezza circa il disturbo alimentare e gli svantaggi psicofisici, affettivi e relazionali che questa condotta comporta nella propria vita e per la propria salute.
L’attenzione sui fattori di rischio e di mantenimento del disturbo del comportamento alimentare può essere significativa in termini di PREVENZIONE e conseguente intervento per non peggiorare la dimensione relazionale, affettiva, emotiva e fisica della Persona.
L’intervento è sostenuto da un ascolto attivo e una comunicazione empatica che possa consentire alla Persona di sentirsi libera di condividere la propria storia, iniziando a trovare delle possibili risposte e soluzioni al proprio disagio.
L’intervento terapeutico deve tener conto di entrambi questi aspetti, lavorare sia sul ripristino dell’equilibrio alimentare, sia su quei blocchi personali che generano e mantengono la sintomatologia.
Alla Persona deve essere consentito di costruire una storia di vita alternativa emotivamente più funzionale e di svincolarsi da modalità relazionali disfunzionali nella quali è incastrata, giungendo a sperimentare un senso di autoefficacia positivo e un’idea di Sé vincente e libera.
POSSO ESSERTI D’AIUTO?
Essere ascoltati e confrontarsi in uno spazio professionale, empatico e non giudicante è il primo passo per iniziare a prendersi cura di Sé.
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