Emotional Eating
fame emotiva
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Un’area di crescente interesse per la ricerca in Psicologia si focalizza sulla relazione fra emozioni e comportamento alimentare.

La tendenza a mangiare in risposta a stati emotivi come ansia, depressione, rabbia, tristezza, solitudine, percezione di Sé negativa, sfiducia, preoccupazione viene comunemente definita Emotional Eating o “fame emotiva”.

In accordo con la teoria psicosomaticala fame emotiva consegue dall’incapacità di distinguere la fame da altri stati interni.

Il cibo viene utilizzato come anestetico per lo stress emotivo, processo che appare essere sostenuto da apprendimenti precoci inerenti al significato emotivo – affettivo del cibo all’interno dei contesti relazionali significativi d’appartenenza della Persona.

 

Emozioni e cibo

Alla fame emotiva corrisponde un cambiamento nel comportamento alimentare in risposta a degli stimoli emotivi negativi, che possono portare sia ad un aumento dell’assunzione di cibo che ad un evitamento dello stesso.

 

Si ricorre al mangiare non per soddisfare un bisogno fisiologico, ma per saziare una voglia di cibo scatenata da segnali emotivi.

 

L’unica cosa che interessa in quel momento è la sensazione di comfort che ci dà il cibo.

 

La sensazione è positiva, ma momentanea.

 

Il CIRCOLO VIZIOSO Emozione – Comportamento alimentare che si innesca è il seguente.

Stati emotivi negativi attivano la fame emotiva che a sua volta provoca un peggioramento dell’umore che contribuisce nuovamente a stimolare la fame emotiva, determinando così un vortice che potrebbe spiegare lo sviluppo e il mantenimento di abbuffate o episodi di alimentazione incontrollata.

 

 

Ricerche dimostrano che l’Emotional Eating è un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi alimentari come la bulimia e il Binge Eating Disorder (BED) o Disordine da alimentazione incontrollata.

Alcuni autori ipotizzano che l’instaurarsi di comportamenti alimentari disfunzionali, si sviluppi fin dalla primissima infanzia.

Un esempio per spiegare questa premessa può essere quando l’angoscia di un bambino viene sedata impropriamente con del cibo. Il piccolo imparerà che l’alimento è un sostituto di parole consolanti o di abbracci rassicuranti. Il tipo di risposta che ottiene dalla Persona che si prende cura di lui, non è sintonizzata con i suoi reali bisogni e può avere come conseguenza l’incapacità di distinguere la fame da altre sensazioni e una limitata consapevolezza emotiva.

Anche negli adulti, quando la consapevolezza emotiva è scarsa, alcune sensazioni fisiche come la sazietà e la fame possono essere confuse con alcuni sentimenti elicitati da rapporti interpersonali significativi. Ad esempio, il senso di vuoto derivante da un’esperienza di distacco emotivo e relazionale può essere confuso per una sensazione di fame.

 

Differenza tra fame e emotiva e fame fisica

La fame emotiva si presenta come molto potente e può essere scambiata per una fame fisica reale.

La fame emotiva si presenta improvvisamente, prende la Persona in un istante, si esprime attraverso un senso di urgenza a mangiare. La fame fisica invece si presenta gradualmente e non richiede un soddisfacimento immediato.

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La fame emotiva richiede cibi specifici. Quando la Persona ha fame fisica mangia tutto, si sazia anche con frutta e verdura. La fame emotiva richiede “cibo spazzatura”, come snack, cioccolate, patatine, salatini che hanno il potere di far scaricare immediatamente la tensione e lo stress, senza necessariamente provare sazietà.

La fame emotiva porta a mangiare in “modo insensato”. La Persona, senza accorgersene, può mangiare grandi quantità di cibo, senza averne sentito il sapore. Quando si mangia per fame fisica, di solito, si percepisce meglio il gusto del cibo.

La fame emotiva non dà un senso di sazietà. La Persona continua a mangiare non sentendosi mai sazia. Nella fame fisica, una volta che lo stomaco è pieno, si sente soddisfatta.

La fame emotiva non si trova nello stomaco. Piuttosto da un “borbottio” derivante dalla pancia, la fame emotiva si presenta come un desiderio che parte dalla testa.

La fame emotiva elicita senso di colpa, di auto – svalutazione e di vergogna per quello che si è consumato, aspetto assente nella fame emotiva.

 

Differenziare la fame emotiva da quella fisica/biologica permette di:

  • Imparare a soddisfare solo la fame naturale.
  • Riconoscere ed accogliere senza giudizio le emozioni che precedono l’Emotional Eating, ovvero aumentare la consapevolezza dei propri stati emotivi.

Come gestire la fame emotiva

Il cibo può sembrare la prima soluzione, veloce, efficace per sedare emozioni negative e stress, solamente perché non si sono compresi i sentimenti alla base della compulsione del cibo.

Si pensi che il cortisolo, in situazioni di grande stress, aumenta ad elevati livelli ed è proprio questo ormone a innescare il desiderio di dolci, di cose salate e di “cibi spazzatura” che hanno il potere di fornire un piacere immediato, un sollievo, ma pur sempre temporaneo.

 

Il “mangiatore emotivo” tende a:

  • Mangiare di più quando è stressato.
  • Continuare a mangiare anche quando non ha fame o quando è sazio.
  • Premiarsi con il cibo.
  • Percepire il cibo come consolatore.
  • Sentirsi impotente e a sentire una perdita del controllo quando mangia molto.

 

La complessità sottostante alle tematiche inerenti al comportamento alimentare va frequentemente individuata nel significato attribuito al cibo da parte della Persona.

Il cibo è nutrimento calorico, ma ha un significato più ampio di nutrimento emotivo – affettivo.

Il valore simbolico che attribuiamo al cibo può influire con la funzione alimentare effettiva, connotando il comportamento alimentare di significati che vanno ben oltre la finalità necessaria di mantenere l’organismo in uno stato di buona salute.

Dietro il bisogno di nutrimento si nasconde una profonda motivazione affettiva legata al piacere che è legato al consumo di certi cibi.

Attraverso il cibo costruiamo delle relazionistabiliamo la nostra identità, definiamo le nostre regole di adesione a principi etici e religiosi e creiamo legami di appartenenza con la nostra Comunità. La storia di ognuno di noi è strettamente legata al cibo ed è disseminata da gusti, profumi, preferenze per certi alimenti o ostilità per altri. Tracce mnestiche sensoriali ed affettive che derivano dai nostri primi ricordi.

Un comportamento che all’inizio rappresentava una funzione primaria per la nostra sopravvivenza, nel corso della nostra storia personale, si va a complicare per l’interferenza di alcuni fattori, fino a diventare un comportamento alimentare non adattivo vero e proprio, sostenuto da schemi cognitivi, emotivi, affettivi e comportamentali disfunzionali.

 

Intervento terapeutico

L’intervento psicologico si struttura analizzando la complessità del quadro sintomatologico, comprendente la dimensione cognitiva, fisiologica, comportamentale, affettiva, psicologica e socio relazionale della Persona e si può avvalere di diversificati approcci metodologici in base all’unicità del caso, tra i quali quelli derivanti dal modello sistemico – relazionale, di quello dell’ipnosi ericksoniana, oltreché  della terapia EMDR, di tecniche di Mindfulness, tecniche immaginative, tecniche di rilassamento, tecniche di autoipnosi, allo scopo di rintracciare gli schemi automatici e disfunzionali responsabili del mantenimento del sintomo, i quali vanno identificati, destrutturati e ristrutturati, facendo emergere modalità alternative e più adattive di costruzione della realtà.

Attraverso un PERCORSO PERSONALIZZATO, sarà possibile lavorare sulla percezione di un Sé realistico e integrato, sull’immagine corporea che la Persona ha strutturato nel tempo, sui significati emotivi che rappresentano per lei il cibo e il suo bisogno di controllo, come e quando sono stati appresi.

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È necessario interrompere i circoli viziosi connessi al comportamento e/o abitudini nutrizionali e alimentari scorrette che si instaurano a partire da un pensiero automatico disfunzionale. Si lavorerà sulle emozioni di senso di colpa, vergognarabbiadisgustotristezza e autosvalutazione correlate ai disturbi alimentari, emozioni che predispongono ad un nuovo episodio critico, rafforzando la percezione di non sentirsi degni, mentre la possibilità di tollerare emozioni spiacevoli in modo più adattivo, può porre le basi per indagare gli stati emotivi profondi e i pensieri distorti che sostengono l’espressione della sintomatologia e la relazione con cibo, nonché la possibilità di apprendere abilità specifiche per gestire meglio le proprie emozioni senza ricorrere all’utilizzo del cibo come strumento per veicolarle.

L’intervento psicologico prevede l’approfondimento della storia di vita della Persona, della storia del sintomo e il significato dello stesso all’interno dei suoi mondi relazionali. Prevede l’identificazione di eventuali apprendimenti di ideali di perfezionismo e di modalità relazionali di autocritica appresi nei propri contesti significativi di appartenenza (famiglia, scuola, lavoro, amici, palestra, etc.).

Si sostiene la motivazione al cambiamento e si lavora, inoltre, sull’acquisire consapevolezza circa il disturbo alimentare e gli svantaggi psicofisici, affettivi e relazionali che questa condotta comporta nella propria vita e per la propria salute.

L’attenzione sui fattori di rischio e di mantenimento del disturbo del comportamento alimentare può essere significativa in termini di PREVENZIONE e conseguente intervento per non peggiorare la dimensione relazionale, affettiva, emotiva e fisica della Persona.

L’intervento è sostenuto da un ascolto attivo e una comunicazione empatica che possa consentire alla Persona di sentirsi libera di condividere la propria storia, iniziando a trovare delle possibili risposte e soluzioni al proprio disagio.

L’intervento terapeutico deve tener conto anche di questi aspetti: lavorare sul ripristino dell’equilibrio alimentare (gestione dei pasti, scelta dei cibi, etc.), sulla regolazione del sonno, sul sostegno per lo svolgimento costante di attività fisica, sia su quei blocchi personali che generano e mantengono la sintomatologia.

Alla Persona deve essere consentito di costruire una storia di vita alternativa emotivamente più funzionale e di svincolarsi da modalità relazionali disfunzionali nella quali è incastrata, giungendo a sperimentare un senso di autoefficacia positivo e un’idea di Sé vincente e libera. 

 

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Essere ascoltati e confrontarsi in uno spazio professionale, empatico e non giudicante è il primo passo per iniziare a prendersi cura di Sé.

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