Il SELFIE un termine che deriva dalla lingua inglese, una forma di autoritratto fotografico realizzato principalmente attraverso uno smartphone, un tablet, una fotocamera digitale e poi postato sui social network.
Non c’è una data precisa alla quale attribuire la nascita del selfie. Alcuni la riconducono agli inizi del ’900, sembra infatti che la prima ad essersi scattata una foto sia stata la granduchessa russa Anastasia Nikolaevna Romanova, inaugurando così la sua nuova Kodak Brownie S1, girando la macchinetta verso se stessa e scattando una foto alla sua immagine riflessa.
A prescindere da quale sia la sua vera origine, attualmente il selfie è divenuto una moda apparentemente innocua, ma che può nascondere risvolti profondi d’insicurezza individuale, di dispercezione corporea e tratti di narcisismo.
L’Associazione Psichiatrica Americana (APA) ha riconosciuto la dipendenza da autofotoritratto attraverso il cellulare come disturbo psicologico, definendolo “Selfie Syndrome”, un insieme di disagi e comportamenti alterati che derivano da un utilizzo smodato di selfie.
I ricercatori Balakrishnan e Griffiths (2017) hanno identificato tre livelli di disturbo:
- Borderline in cui le persone si fotografano almeno 3 volte al giorno, ma non pubblicano le foto sui social network.
- Acuto se la Persona si fotografa non meno di 3 volte al giorno e pubblica le foto sui social network.
- Cronico quando la Persona è ossessionata, prova il desiderio incontrollabile di fotografarsi continuamente e pubblica le immagini in internet almeno 6 volte al giorno.
Oggi tantissime persone vivono postando sui social tutto quello che fanno. Si fotografano mentre sono in città, in vacanza, quando mangiano, quando sono felici o tristi, quando escono con qualcuno, quando vedono qualcosa di bello o di curioso, quando non stanno facendo nulla, per passatempo, condividendo online le proprie foto in modo che possano essere vista da tutti gli amici e i propri contatti.
Il rischio per chi diviene dipendente dai selfie, è quello di cadere nella trappola del like e di vivere una vita in funzione della validazione e dell’approvazione altrui, una forma di approvazione istantanea che tuttavia avrà solo un effetto positivo momentaneo sull’autostima, senza tener conto delle conseguenze sul proprio benessere psicofisico e relazionale, né tantomeno su aspetti di privacy e protezione della propria sfera personale.
Il Selfie, oltre a consentire di fotografare la Persona che vorremmo essere, offre:
- La possibilità di avere un pubblico che guarda e fornisce (o meno) approvazione.
- La possibilità di mostrare a tutti un particolare momento della propria vita.
- Consente una condivisione immediata e rapida.
- Consente di mostrare una parte della propria identità (reale o ideale).
- Consente di raccontare di Sé solo le parti migliori e più interessanti omettendo le altre.
La pratica del selfie come stile di vita modifica la relazione della Persona con la realtà.
Utilizzare la tecnologia per mantenere i ricordi e condividerli è divertente, meno divertente è quando questa pratica diventa deleteria per il benessere psicofisico e relazionale della Persona.
Questo fenomeno rappresenta un problema quando scattare il proprio autoritratto diventa una routine quotidiana ed irrazionale, quando di fronte all’impossibilità di postare le foto si manifestano sintomi di astinenza, in questo caso, siamo di fronte alla dipendenza.
Vivere la dimensione reale e godersi il momento viene superato dalla voglia di mostrarlo agli altri e aspettare notifiche e like.
Il narcisismo digitale che ne consegue sembra essere legato al carattere narcotizzante ed invadente che le immagini assumono ai nostri occhi e alla cultura della visibilità, secondo la quale hai valore se sei visibile, se ti mostri.
Selfie e dipendenza
Attraverso il selfie emergono alcuni desideri impliciti che spingono la Persona ad attuare il comportamento dell’autoscatto:
- Il desiderio di potenziare l’autostima e la fiducia in se stessi.
- Il bisogno di attenzione.
- La necessità di migliorare il proprio umore.
- La creazione di nuovi ricordi.
- L’ambizione a uniformarsi con i gruppi di appartenenza.
- La partecipazione a competizioni di natura social.
Affinché questi bisogni vengano appagati la Persona può giungere a strutturare una dipendenza. Alcuni studi dimostrano che un terzo delle persone che scattano selfie, progressivamente, manifestano un comportamento patologico di tipo cronico, con tutte le conseguenze psicologiche e sociali per la Persona in termini di tolleranza (crescente necessità nel tempo di agire il comportamento per ottenere l’effetto euforico desiderato)) e astinenza (se il comportamento non viene agito: emerge ansia, irritabilità, aggressività, etc.).
Da un punto di vista neurobiologico, un ruolo importante nel mantenimento e nel rinforzo delle condotte compulsive è svolto dalla dopamina, un neuromediatore coinvolto negli stati di eccitazione, che porta alla soddisfazione di un bisogno all’interno del circuito mesolimbico cerebrale, definito circuito della ricompensa. Gli stimoli che producono motivazione e ricompensa come il cibo, il sesso, o altri stimoli gratificanti per la Persona stimolano il rilascio di dopamina producendo una sensazione di piacere ed euforia che porta a ripetere un comportamento, come scattarsi una foto nella selfie addiction o ad assumere nuovamente una sostanza.
Selfie e tratto narcisistico
Il selfie è qualcosa che richiama l’immagine di Sé, l’immagine corporea e il desiderio di riconoscersi evocando il senso dell’identità di una Persona. Ciò vuol dire che la distorsione tra l’immagine che si ha del proprio corpo e il senso di Sé, rischia di procurare un disagio interiore.
La ricerca spasmodica del selfie perfetto si traduce in un’altrettanta ricerca del senso di identità da parte della Persona che attua il comportamento. Un desiderio di perfezione che sarà irraggiungibile (simile a quello presente nell’espressione dei disturbi del comportamento alimentare), mostrando comportamenti di tolleranza sempre più elevati, come per la dipendenza da sostanze.
L’idea che si va a strutturare è che nessun selfie sarà così perfetto quanto quello che ancora deve essere scattato.
Emerge sempre più che la ricerca continua di perfezione attraverso il susseguirsi degli scatti e del loro contenuto (es. immagine corporea), modulata anche attraverso filtri, possa far rintracciare un disagio che non è esteriore, ma interiore.
Nella fotografia da selfie si rispecchiano i due meccanismi primitivi fondanti della mente umana: l’identificazione, mediante la quale la Persona costituisce la propria personalità assimilando uno o più tratti di un altro individuo e modellandosi su di essi e la proiezione, il meccanismo speculare all’identificazione che consiste nello spostare sentimenti o caratteristiche proprie su altre cose o persone.
Il comportamento dipendente da selfie sembra manifestarsi come una regressione narcisistica della Persona, probabilmente causata dall’enorme pressione percettiva cui la società odierna è sottoposta. In altre parole, il selfie riproduce in immagine ciò che noi vorremmo essere (ideale) e non ciò che realmente si è (reale).
Nel condividere ciò che si vorrebbe essere e non ciò che si è, si produce nella Persona una ferita del Sé, che illusoriamente tenterà di risanare con un nuovo selfie, andando a creare un circolo vizioso senza fine.
Il selfie, pertanto, diverrà un rituale rassicuratorio, un tentativo di tutela del sé, magari con la ricerca di autoscatti sempre più particolari, accattivanti e pericolosi, aventi l’unico intento di dimostrare agli altri che esistiamo.
La tematica del selfie si presenta abbastanza complessa poiché nel selfie si riflette al contempo il peso del condizionamento sociale, la cultura e la civiltà dell’immagine, per non parlare della storia personale e dei suoi mondi relazionali propri della Persona che attua quel comportamento.
Intervento terapeutico
Se un’attività come quella di postare selfie diviene ossessiva, pervasiva e disturba le altre sfere di vita non è più un semplice passatempo.
In questo caso, una riflessione che può essere fatta riguarda come bilanciare meglio ciò che appartiene a Sé e ciò che viene mostrato, in modo che la propria dimensione personale non venga invasa dal giudizio dell’altro e dal proprio.
Mi posso iniziare a domandare:
Queste sono alcune delle domande che posso pormi per iniziare a conoscermi ed evolvere.
Un intervento psicologico per la dipendenza da selfie entra nel processo che elicita e mantiene schemi disfunzionali, limitandone la forza. Analizzate le soluzioni, la Persona può iniziare a rompere il circolo vizioso che la mantiene all’interno della dipendenza da selfie.
Ogni terapia è un percorso unico, strutturato in base ai bisogni della Persona e alle sue caratteristiche. Gli elementi di base sembrano essere: la promozione di attività finalizzate al controllo dei comportamenti disturbanti, nonché il lavoro sulle emozioni e sui bisogni interiori che hanno favorito l’insorgere della dipendenza.
Per aiutare la Persona a riprendere in mano il controllo del proprio tempo al di là dei selfie e a riscoprire il rispetto per la sua unicità senza mascherarla, può essere utile intraprendere un percorso terapeutico con le seguenti finalità:
- Approfondire la storia di vita della Persona, la storia del sintomo e il significato dello stesso all’interno dei suoi mondi relazionali.
- Acquisire consapevolezza circa la dipendenza da selfie e gli svantaggi psico-fisici e relazionali che questa condotta di dipendenza comporta nella propria vita e nella propria salute.
- Ristrutturare le credenze disfunzionali legate al proprio valore, alla propria amabilità e alla propria immagine corporea.
- Potenziare l’autostima e il senso di Sé.
- Individuare, destrutturare e ristrutturare i pensieri, le emozioni (paura della solitudine, del rifiuto e dell’abbandono) e i comportamenti ricorrenti, gli schemi fissi di ragionamento e di interpretazione della realtà, che sono concomitanti alle reazioni fisiche, emotive e comportamentali relative all’espressione del sintomo, sostituendoli con schemi più adattivi per uno stile di vita personale e relazionale più sano.
- Imparare a condividere i propri bisogni affettivi ed emotivi, nonché a far conoscere la parte più autentica di Sé senza sentirsi vulnerabili e giudicati.
- Potenziare l’autostima e il senso di Sé.
- Sviluppare comportamenti alternativi e più adattivi per la gestione delle emozioni intense.
- Sostenere la motivazione al cambiamento dello stile di vita e al recupero del proprio benessere psicofisico e relazionale (es. regolare il tempo passato a scattarsi selfie e postarli, limitarne l’uso e confinarlo in momenti precisi della giornata, oppure dedicarsi ad esso solo dopo aver svolto compiti necessari, impegnarsi in attività alternative, come attività sportive o hobbies di vario genere entrando in contatto con persone reali con le quali relazionarsi “dal vivo”, etc.)
L’intervento psicologico si struttura analizzando la complessità del quadro sintomatologico, comprendente la dimensione cognitiva, fisiologica, comportamentale, emotiva, psicologica e socio relazionale della Persona e può avvalersi di diversificati approcci terapeutici, tra i quali quello sistemico relazionale, quello cognitivo comportamentale, l’ipnosi ericksoniana e la Mindfulness.
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Essere ascoltati e confrontarsi in uno spazio professionale, empatico e non giudicante è il primo passo per iniziare a prendersi cura di Sé.
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