Il termine drunkoressia venne coniato nel 2008 dal New York Times per descrivere una nuova pratica alimentare utilizzata soprattutto nei paesi anglosassoni e sviluppatasi successivamente anche in Italia.
La drunkoressia – dall’inglese drunk ubriaco e anorexia anoressia – è un disturbo diffuso soprattutto negli adolescenti, in maniera omogenea tra uomini e donne, con leggera prevalenza per queste ultime.
Lo schema comportamentale è:
Bere di più e mangiare di meno.
La Persona drunkoressica tende a rinunciare al cibo, quasi fino a digiunare, per poi assumere una grande quantità di alcolici. Il digiuno è dovuto al desiderio di compensare l’apporto di calorie determinate dall’assunzione di grandi quantità di alcool (spesso all’ora dell’aperitivo) e per rendere più veloci gli effetti dell’assunzione delle bevande alcoliche.
L’alcol diventa uno strumento per integrarsi socialmente, per non avvertire il senso della fame e, in alcuni casi, anche per indurre più facilmente il vomito.
La drunkoressia può portare a delle conseguenze sia fisiche che psicologiche. Le complicanze mediche di questo fenomeno sono simili a quelle dell’anoressia oltre ai rischi derivanti dall’abuso di alcolici (disturbi renali, malattie cardiovascolari, problemi al cavo orale e ai denti, disturbi gastrointestinali, ansia, stati depressivi, sintomi ossessivo – compulsivi, irritabilità, stress, etc.).
Sintomi della drunkoressia
La drunkoressia non è attualmente classificata come Disturbo del comportamento alimentare all’interno del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM – 5) e tutt’ora sono in corso ricerche volte ad approfondire le diverse sfaccettature e implicazioni che questo comportamento può avere sull’individuo.
Tuttavia, sono stati riscontrati alcuni aspetti caratteristici:
- Saltare i pasti, al fine di limitare l’importo calorico potendo così compensare consumando grande quantità di alcol.
- Eccessivo esercizio fisico come atto compensatorio per consumare le calorie ingerite dal bere.
- Utilizzare l’overdose di alcol per provocarsi il vomito e poter quindi “espellere” le calorie ingerite in eccesso.
Drunkoressia e anoressia
La presenza di fattori quali l’esercizio fisico eccessivo e la restrizione alimentare, svelano una connessione tra la drunkoressia e l’anoressia nervosa, tanto da esserne considerata una variante.
Chi soffre di drunkoressia prova generalmente un senso di disagio, di insicurezza e di difficoltà nel relazionarsi con gli altri. L’abuso di alcol è anche frequente in chi soffre di anoressia e bulimia, spesso per rimediare al senso di colpa di aver mangiato troppo.
Come insorge la drunkoressia
In generale, per lo sviluppo della patologia non esiste un unico fattore eziologico. L’origine della drunkoressia è da identificarsi in un modello multifattoriale composto fattori biologici, psicologici e ambientali e culturali.
Come possibilità eziologica, si può parlare di:
- Adesione a modelli ideali di bellezza, di magrezza e di efficienza provenienti dalla società.
- Eventi traumatici e/o stressanti, come ad esempio, lutti, separazioni, abbandoni, etc.,
- Introiezione di ideali di perfezionismo e di controllo del Sé e della propria immagine corporea, nei contesti significativi di appartenenza della Persona (famiglia, scuola, lavoro, amici, palestra, etc.)
- Situazioni di familiarità con il disturbo.
- Voglia di provare emozioni forti.
- Sentirsi riconosciuti dal mondo dei pari.
- Perdere il controllo e contemporaneamente sentirsi potenti.
Intervento terapeutico
Come per il disturbo anoressico, nella Persona drunkoressica, il grado del controllo sul proprio peso e forma del corpo è il parametro principale di valutazione di Sé e del proprio valore.
Il comportamento alimentare correlato all’assunzione di alcol e alle condotte compensatore può essere elicitato dalla necessità di gestire stati emotivi che altrimenti la Persona non riuscirebbe a fronteggiare.
Attualmente le linee guida internazionali indicano che l’approccio ai disturbi alimentari non può prescindere da una MODALITA’ D’INTERVENTO MULTIDISCIPLINARE effettuata da professionisti di formazione diversa (nutrizionisti, dietisti, endocrinologi, psichiatri, psicologi e psicoterapeuti, etc.) che lavorando in équipe costituiscono una rete di sostengo per il paziente.
La complessità della problematica alimentare, infatti, deve essere trattata tenendo conto di approcci terapeutici differenti che lavorano in sinergia, proiettati verso un unico obiettivo: il benessere della Persona.
L’intervento psicoterapeutico può essere associato a terapia farmacologica e si pone l’obiettivo di sostenere la Persona nel prendere consapevolezza dei processi che mantengono il disturbo e/o di prevenire la sua espressione in una forma più grave.
L’intervento psicologico si struttura analizzando la complessità del quadro sintomatologico, comprendente la dimensione cognitiva, fisiologica, comportamentale, affettiva, psicologica e socio relazionale della Persona e si può avvalere di diversificati approcci metodologici in base all’unicità del caso, tra i quali quelli derivanti dal modello sistemico – relazionale, di quello dell’ipnosi ericksoniana, oltreché della terapia EMDR, di tecniche di Mindfulness, tecniche immaginative, tecniche di rilassamento, etc., allo scopo di rintracciare gli schemi automatici e disfunzionali responsabili del mantenimento del sintomo, i quali vanno identificati, destrutturati e ristrutturati, facendo emergere modalità alternative e più adattive di costruzione della realtà.
Attraverso un PERCORSO PERSONALIZZATO, sarà possibile lavorare sulla percezione di un Sé realistico e integrato, sull’immagine corporea che la Persona ha strutturato nel tempo, sui significati emotivi che rappresentano per lei il cibo e il suo bisogno di controllo, come e quando sono stati appresi.
È necessario interrompere i circoli viziosi connessi al comportamento e/o abitudini nutrizionali e alimentari scorrette che si instaurano a partire da un pensiero automatico disfunzionale. Si lavorerà sulle emozioni di senso di colpa, vergogna, rabbia, disgusto, tristezza e autosvalutazione correlate ai disturbi alimentari, emozioni che predispongono ad un nuovo episodio critico, rafforzando la percezione di non sentirsi degni, mentre la possibilità di tollerare emozioni spiacevoli in modo più adattivo, può porre le basi per indagare gli stati emotivi profondi e i pensieri distorti che sostengono l’espressione della sintomatologia e la relazione con cibo, nonché la possibilità di apprendere abilità specifiche per gestire meglio le proprie emozioni senza ricorrere all’utilizzo del cibo come strumento per veicolarle.
L’intervento psicologico prevede l’approfondimento della storia di vita della Persona, della storia del sintomo e il significato dello stesso all’interno dei suoi mondi relazionali. Si sostiene la motivazione al cambiamento e si lavora, inoltre, sull’acquisire consapevolezza circa il disturbo alimentare e gli svantaggi psicofisici, affettivi e relazionali che questa condotta comporta nella propria vita e per la propria salute.
L’attenzione sui fattori di rischio e di mantenimento del disturbo del comportamento alimentare può essere significativa in termini di PREVENZIONE e conseguente intervento per non peggiorare la dimensione relazionale, affettiva, emotiva e fisica della Persona.
L’intervento è sostenuto da un ascolto attivo e una comunicazione empatica che possa consentire alla Persona di sentirsi libera di condividere la propria storia, iniziando a trovare delle possibili risposte e soluzioni al proprio disagio.
L’intervento terapeutico deve tener conto di entrambi questi aspetti, lavorare sia sul ripristino dell’equilibrio alimentare, sia su quei blocchi personali che generano e mantengono la sintomatologia.
Alla Persona deve essere consentito di costruire una storia di vita alternativa emotivamente più funzionale e di svincolarsi da modalità relazionali disfunzionali nella quali è incastrata, giungendo a sperimentare un senso di autoefficacia positivo e un’idea di Sé vincente e libera.
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Essere ascoltati e confrontarsi in uno spazio professionale, empatico e non giudicante è il primo passo per iniziare a prendersi cura di Sé.
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