Ortoressia

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L’attenzione al mangiare bene e a uno stile di vita salutare è ormai parte integrante della nostra società. Talvolta, quest’attenzione può trasformare il piacere della tavola in un rapporto ansioso con tutto ciò che concerne l’alimentazione.

Per alcune Persone l’impegno al mangiare sano può degenerare in una vera e propria ossessione che prende il nome di ortoressia (dal greco “orthos” – corretto – e orexis – appetito), termine coniato dai ricercatori Bratman e Knight nel 1997, ovvero una condizione caratterizzata da un comportamento alimentare che segue l’ossessione patologica per un’alimentazione biologicamente pura e salutare.

Tale condizione è spesso associata a una dieta restrittiva che, nel tentativo di raggiungere uno stato di salute ottimale, può portare a gravi condizioni mediche connesse alla malnutrizione, oltre a un’instabilità affettiva e all’isolamento sociale.

 

Sintomi dell’ortoressia

La Persona ortoressica è preoccupata dalla qualità dei cibi nella propria dieta, piuttosto che dalla quantità, impiegando un tempo considerevole a esaminare l’origine (ad esempio, se le verdure sono state esposte a pesticidi), a verificare la lavorazione (se ad esempio il contenuto nutritivo potrebbe essere andato perso durante la cottura) e a studiare il confezionamento (per esempio, se le etichette forniscono sufficiente informazione per giudicare la qualità di specifici ingredienti) dei cibi che sono poi messi in commercio.

L’ossessione sulla qualità del cibo, in termini di valore nutritivo dei cibi e della loro ‘purezza’, nasce dal desiderio di ottimizzare la propria salute fisica e il proprio benessere.

Una simile preoccupazione nel caso dell’ortoressia può innescare comportamenti alimentari problematici, ad esempio, regole su quali possano essere assunti insieme o quanto tempo serva per digerire una certa quantità e tipologia di cibo (pensiero magico correlato al cibo, ad esempio, mangiare frutta a stomaco vuoto 30-60 minuti prima di un pasto prepara lo stomaco per il corretto assorbimento dei nutrienti).

La Persona ortoressica impiega molto tempo a fare la spesa, poiché la pianifica nel minimo dettaglio ed inoltre organizza i pasti quotidiani prestando attenzione alle caratteristiche di ogni singolo ingrediente.

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I cibi mangiati sono esclusivamente puri e salutari, vengono esclusi quelli che potrebbero contenere ingredienti geneticamente modificati o quelli contenenti molti grassi, zuccheri, coloranti, conservanti, etc.

Queste restrizioni alimentari talvolta comportano l’esclusione di nutrienti essenziali nel fabbisogno energetico quotidiano, con la conseguenza di diete sbilanciate.

Dal punto di vista psicologico, l’ortoressico sperimenta un senso di frustrazione quanto non riesce a mettere in atto i propri rituali alimentari, prova disgusto se ha la sensazione che il cibo è stato contaminato con cibi non “puri, salutari”, prova senso di colpa o meno se riesce a mettere in atto o meno quello che si è prefissato circa il controllo del cibo.

Tutte queste regole legate all’alimentazione possono creare conseguenze a livello interpersonale, impedendo alla Persona vigoressica di mantenere dei rapporti costruttivi con gli altri.

Mangiare cibo cucinato da qualcun altro o pensare che il cibo possa essere stato contaminato elicita stati ansiosi e negativi.

Inoltre, l’idea di mantenere un’alimentazione sana, talvolta, fa assumere al vigoressico un atteggiamento di superiorità morale (fanatismo alimentare) in conseguenza del quale non desidera interagire con altri che hanno abitudini alimentari diverse dalle proprie.

La qualità del cibo e di un’alimentazione pura prevale sulle relazioni sociali, sulla progettualità lavorativa e affettive, arrivando a compromettere il funzionamento globale e il benessere della Persona.

 

Confronto tra ortoressia ed anoressia

Le ricerche scientifiche sull’ortoressia convengono che le Persone ortoressiche e quelle anoressiche presentano tratti perfezionistici e di ipercontrollo, tendono a valutare l’aderenza alla loro dieta come sinonimo di autodisciplina, alta autostima e interpretano la trasgressione come un fallimento del proprio autocontrollo e della propria autostima.

La differenza maggiore tra ortoressia e anoressia riguarda la motivazione sottostante allo specifico comportamento alimentare.

 

 

Intervento terapeutico

La maggiore attenzione da parte della popolazione verso l’alimentazione e le proprietà nutraceutiche di alcuni cibi ha reso possibile il diffondersi di regimi dietetici diversi, a cui si ricorre spesso senza un parere medico. Intraprendere regimi alimentari non equilibrati o percorsi dietologici non corretti, può comportare pesanti ripercussioni sull’organismo e, in determinati quadri di personalità, si possono esasperare dei tratti personologici preesistenti, dando vita a vere e proprie ossessioni a cui è importante porre attenzione, prima che divengano veri e propri quadri psicopatologici.

Attualmente le linee guida internazionali indicano che l’approccio ai disturbi alimentari non può prescindere da una MODALITA’ D’INTERVENTO MULTIDISCIPLINARE effettuata da professionisti di formazione diversa (nutrizionisti, dietisti, endocrinologi, psichiatri, psicologi e psicoterapeuti, etc.) che lavorando in équipe costituiscono una rete di sostengo per il paziente.

La complessità della problematica alimentare, infatti, deve essere trattata tenendo conto di approcci terapeutici differenti che lavorano in sinergia, proiettati verso un unico obiettivo: il benessere della Persona.

L’intervento psicoterapeutico può essere associato a terapia farmacologica  e si pone l’obiettivo di sostenere la Persona nel prendere consapevolezza dei processi che mantengono il disturbo e/o di prevenire la sua espressione in una forma più grave.

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L’intervento psicologico si struttura analizzando la complessità del quadro sintomatologico, comprendente la dimensione cognitiva, fisiologica, comportamentale, affettiva, psicologica e socio relazionale della Persona e si può avvalere di diversificati approcci metodologici in base all’unicità del caso, tra i quali quelli derivanti dal modello sistemico – relazionale, di quello dell’ipnosi ericksoniana, oltreché della terapia EMDR, di tecniche di Mindfulness, tecniche immaginative, tecniche di rilassamento, tecniche di autoipnosi, etc., allo scopo di rintracciare gli schemi automatici e disfunzionali responsabili del mantenimento del sintomo, i quali vanno identificati, destrutturati e ristrutturati, facendo emergere modalità alternative e più adattive di costruzione della realtà.

Attraverso un PERCORSO PERSONALIZZATO, sarà possibile lavorare sulla percezione di un Sé realistico e integrato, sull’immagine corporea che la Persona ha strutturato nel tempo, sui significati emotivi che rappresentano per lei il cibo e il suo bisogno di controllo, come e quando sono stati appresi.

È necessario interrompere i circoli viziosi connessi al comportamento e/o abitudini nutrizionali e alimentari scorrette che si instaurano a partire da un pensiero automatico disfunzionale. Si lavorerà sulle emozioni di senso di colpa, vergognarabbiadisgustotristezza e autosvalutazione correlate ai disturbi alimentari, emozioni che predispongono ad un nuovo episodio critico, rafforzando la percezione di non sentirsi degni, mentre la possibilità di tollerare emozioni spiacevoli in modo più adattivo, può porre le basi per indagare gli stati emotivi profondi e i pensieri distorti che sostengono l’espressione della sintomatologia e la relazione con cibo, nonché la possibilità di apprendere abilità specifiche per gestire meglio le proprie emozioni senza ricorrere all’utilizzo del cibo come strumento per veicolarle.

L’intervento psicologico prevede l’approfondimento della storia di vita della Persona, della storia del sintomo e il significato dello stesso all’interno dei suoi mondi relazionali. Si sostiene la motivazione al cambiamento e si lavora, inoltre, sull’acquisire consapevolezza circa il disturbo alimentare e gli svantaggi psicofisici, affettivi e relazionali che questa condotta comporta nella propria vita e per la propria salute.

L’attenzione sui fattori di rischio e di mantenimento del disturbo del comportamento alimentare può essere significativa in termini di PREVENZIONE e conseguente intervento per non peggiorare la dimensione relazionale, affettiva, emotiva e fisica della Persona.

L’intervento è sostenuto da un ascolto attivo e una comunicazione empatica che possa consentire alla Persona di sentirsi libera di condividere la propria storia, iniziando a trovare delle possibili risposte e soluzioni al proprio disagio.

L’intervento terapeutico deve tener conto anche di questi aspetti: lavorare sul ripristino dell’equilibrio alimentare (gestione dei pasti, scelta dei cibi, etc.), sulla regolazione del sonno, sul sostegno per lo svolgimento di un’attività fisica equilibrata, sia su quei blocchi personali che generano e mantengono la sintomatologia.

Alla Persona deve essere consentito di costruire una storia di vita alternativa emotivamente più funzionale e di svincolarsi da modalità relazionali disfunzionali nella quali è incastrata, giungendo a sperimentare un senso di autoefficacia positivo e un’idea di Sé vincente e libera. 

 

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