In molte culture, tra cui quella occidentale, la nascita di un bambino viene sempre accolta e considerata come un evento felice, un’esperienza di intensa gioia per la neomamma che vede l’inizio della realizzazione di tutte quelle aspettative esperite durante i mesi di gravidanza.
Questa immagine idealizzata della maternità è però, talvolta, in forte contrasto con il vissuto intimo della neomamma che può sentirsi triste ed irritabile senza alcun motivo particolare, incline al pianto, sperimentando un senso di inadeguatezza nei confronti dei nuovi compiti che la attendono, accompagnato, talvolta, da stati di ansia.
Questo stato emotivo viene definito “BABY BLUES”, un lieve e transitorio stato depressivo, diffuso nell’’80% delle donne, che può durare da poche ore a qualche giorno, per scomparire entro la seconda settimana o comunque entro il primo mese post gravidanza.
Tale condizione è attribuita alla stanchezza che segue la gravidanza, ai cambiamenti psicologici e organizzativi, alle nuove responsabilità, all’evoluzione del proprio Sé, alla trasformazione del rapporto di coppia e del sistema famiglia, etc., nonché ai cambiamenti ormonali che accompagnano la prima fase dell’allattamento. Si tratta di difficoltà momentanee che in genere non prevedono un intervento specifico.
Che cos’è la depressione post partum?
La depressione post partum si può presentare entro i dodici mesi successivi al parto, più frequentemente tra le quattro e le sei settimane, si sviluppa gradualmente, persistendo anche per diversi mesi. In Italia coinvolge il 10-15% delle donne.
Quali sono i sintomi ricorrenti?
- Tristezza, umore depresso.
- Stanchezza per la maggior parte del giorno.
- Perdita di interesse, assenza di sensazioni piacevoli.
- Perdita di interesse per il bambino.
- Agitazione, irrequietezza, irritabilità.
- Alterazioni nel sonno e nell’appetito.
- Sentimenti di autosvalutazione o sensi di colpa.
- Ridotta capacità di concentrazione.
- Ricorrenti pensieri di morte/suicidio.
- Ansia o panico immotivati ed eccessivi inerenti alla cura o la salute del bambino.
Come insorge la depressione post partum?
Alcuni studi scientifici attribuiscono ai cambiamenti ormonali nella donna l’origine della depressione post partum, più in particolare, al calo del livello degli estrogeni e del progesterone, ma in realtà ci sono molti altri fattori che concorrono alla sua insorgenza, fattori per lo più di origine psicologica, relazionale e sociale.
La nascita e l’accudimento del bambino rappresentano di per sé fattori di stress per il corpo e per la psiche, cui può aggiungersi il fatto che la donna si trovi impreparata ad affrontare il dolore del parto o un lungo travaglio, come anche eventuali complicazioni al momento della nascita, precedenti esperienze di aborto intrauterino o una gravidanza non desiderata, tutti fattori che possono accrescere un vissuto di fallimento e inadeguatezza riguardo all’essere madre.
La qualità del sostegno emotivo, derivante dalla relazione di coppia e/o sistema familiare e/o figure significative e/o il sistema socio sanitario nel quale la neo mamma è inserita, appare significativa affinché la donna possa sperimentarsi serenamente nel suo nuovo ruolo di madre e di donna.
Fattori di rischio
I fattori di rischio per l’insorgere della depressione post partum sono:
BIOLOGICI
- Privazione del sonno.
- Esaurimento fisico ed emotivo.
- Cambiamenti ormonali.
PSICOLOGICI
- Storia personale di ansia e/o depressione.
- Storia familiare di depressione e/o depressione post partum.
- Episodi di ansia o di depressione nel corso della gravidanza.
- Precedenti episodi di depressione post partum.
- Bassa autostima.
- Autosvalutazione, inadeguatezza, insoddisfazione.
- Complicazioni post partum nella madre o nel bambino.
- Difficile esperienza con gli operatori sanitari.
PSICOSOCIALI
- Giovane età.
- Condizioni socioeconomiche sfavorevoli.
- Isolamento sociale.
- Eventi di vita stressanti nell’ultimo anno.
- Scarso supporto psicologico da parte del partner e/o problemi di coppia.
- Sostegno familiare/sociale inadeguato.
Aver espresso episodi di ansia forte o depressione prima o durante la gravidanza può essere elemento predittivo della possibilità di vivere esperienze di depressione post partum. Questa informazione può consentire di intervenire con tempestività, accompagnando già da subito la donna durante e nel post gravidanza, evitando di trascinare il problema dopo il parto.
In un’ottica di PREVENZIONE dello stato di depressione post partum, si può agire sin dall’inizio della gravidanza intraprendendo un percorso di accompagnamento alla nascita con la futura mamma e/o con il futuro papà, nonché partecipare al protocollo Mindfulness Based Childbirth and Parenting (per genitori in attesa e per la neogenitorialità) con lo scopo di migliorare l’impatto dello stress legato ai cambiamenti indotti dalla gravidanza, dal parto e dalla genitorialità.
Le TENTATE SOLUZIONI delle neomamme con depressione post partum
Possono essere definite tentate soluzioni tutte quelle azioni che una Persona mette in atto per cercare di risolvere una difficoltà, ma che non portano a risolverla. Paradossalmente, le tentate soluzioni contribuiscono a cristallizzare la difficoltà. Le tentate soluzioni più frequenti per gestire “gli eventi” derivanti dalla depressione post partum possono essere:
MASCHERARE IL PROBLEMA. La neomamma può tendere a minimizzare i propri stati d’animo per un senso di vergogna e inadeguatezza, dovuti, ad esempio, dall’idea culturalmente diffusa che una neomamma dovrebbe essere entusiasta per la nascita del suo bambino, che non dovrebbe pensare a se stessa, ma ai bisogni del piccolo e che la stanchezza è una condizione normale che passerà da sola.
Questa situazione può non consentire a chi sta accanto alla neomamma di comprendere velocemente la complessità del problema, scambiandola per normale stanchezza dovuta, ad esempio, ai ritmi del sonno irregolare del bambino. In questi casi, la mamma può provare disagio a condividere le proprie emozioni, anche a se stessa oltreché agli altri, sente che non dovrebbe provare quello che prova. Senso di colpa e vergogna attecchiscono conducendola, talvolta, a chiudersi in se stessa.
DELEGARE LA CURA DEL BAMBINO. Questa tentata soluzione è abitualmente messa in atto dalla neomamma in difficoltà, come risultato di una sensazione di disinteresse e distacco verso il bambino, sia come soluzione per calmare l’ansia e il senso di inadeguatezza legato al timore di non essere in grado di prendersi cura in maniera efficace del piccolo.
Si possono delegare il papà, i nonni o una tata sia per attività occasionali, come il gioco, una passeggiata, il bagnetto, sia per attività principali legate alla sopravvivenza del bambino, come mangiare, dormire e cambiare il pannolino.
Delegando, la mamma si sente sollevata dalla responsabilità, ma al contempo sperimenta un aumento di senso di incapacità, inadeguatezza e paura.
Rispetto al delegare, SOSTITUIRSI ALLA MAMMA NELLA CURA DEL BAMBINO può nel tempo risultare la soluzione più pericolosa.
Aiutare la mamma per farla riposare, ad esempio, facendole la spesa, stirando, cucinando può essere positivo, ma sostituirsi sempre a lei nei compiti di accudimento del neonato può interrompere la creazione della relazione tra mamma e bambino, fondamentale per lo sviluppo lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale del bambino, nonché per il senso di Sé della mamma.
In altre parole, in casi di stati depressivi gravi della mamma è ovviamente utile che qualcuno intervenga per accudire il bambino, ma in tutti gli altri casi è importante che la mamma si occupi del piccolo, magari insieme a qualcuno, senza che sia mai sollevata dal suo ruolo di mamma.
RINUNCIARE. La neomamma che non si sente capace è spaventata, inizia a rinunciare a svolgere alcune attività della sua vita, anche quelle piacevoli come uscire con le amiche o fare una passeggiata, fino ad arrivare a quelle più quotidiane come lavorare, alzarsi dal letto, mangiare, lavarsi, etc.
La rinuncia a svolgere normali attività, non porta l’effetto sperato e la stanchezza e il senso di sopraffazione prevalgono. Paradossalmente “la rinuncia a vivere” aumenta il senso di inadeguatezza e incapacità esperito dalla mamma, nonché la tristezza e il senso di fallimento.
La tentata soluzione della rinuncia può riguardare azioni inerenti alla cura di se stessa (lavarsi, pettinarsi, truccarsi), le proprie relazioni sociali e il lavoro, ma anche il ruolo di neomamma con il bambino. Quest’ultimo caso, si può tradurre con: “rinuncio ad occuparmi del mio bambino perché non mi sento bene e non sono in grado, quindi, nuovamente, sono incapace e inadeguata”.
CONFRONTO CON LE ALTRE MAMME. Questa tentata soluzione può essere rischiosa per chi diventa mamma per la prima volta. La ricerca del confronto con altre mamme sia in presenza, che via web può essere fonte di scambio d’informazioni, rassicurazioni, consigli ed esperienze. Al contempo, la ricerca del confronto con gli altri, se già in una condizione emotiva di fragilità, può mettere alla prova la sicurezza e le certezze della neomamma, sentendosi anche passibile di giudizio esterno (es. “sbaglio ad igienizzare i biberon, altre mamme lo fanno in un altro modo”). Il disagio che ne può scaturire può far emergere stati di ansia e angoscia per non essere una buona mamma, che possono andare a sostenere o rinforzare un’eventuale sintomatologia depressiva.
RAZIONALIZZAZIONE. Può accedere che le persone significative vicine alla neomamma, per aiutarla, cerchino di intervenire riprendendola o rimproverandola per cercare di scuoterla dallo stato di fragilità che viene percepito. Queste strategie spesso conducono a forti conflitti che aumentano il disagio della neomamma che si sente sempre di più non compresa.
Utilizzare la razionalità per spiegare a chi soffre che non ha motivo di soffrire, non è la strada giusta.
L’ascolto attivo, l’accettazione di quello che la neomamma sta vivendo, il sostegno emotivo e la proposta di possibili soluzioni, tra le quali quella di rivolgersi ad uno psicologo per un sostegno psicologico, possono essere delle possibilità efficaci di aiuto sia per mamma che per il sistema coppia e/o famiglia.
Intervento terapeutico
Ci sono diverse possibilità di aiuto per una donna che soffre di depressione post partum e/o che sente durante la gravidanza di voler elaborare il proprio stato di malessere emotivo e psicologico. Il primo passo può essere quello di rivolgersi al medico di base, all’ostetrica, al ginecologo o al pediatra di fiducia, esperti che potranno indirizzare verso un intervento più specifico e adatto alle singole esigenze.
Le cure in ambito medico generalmente possono consistere nell’assunzione di terapia farmacologica sotto prescrizione e controllo medico, vista anche l’eventuale fase d’allattamento.
Oltre a queste soluzioni, affinché l’intervento possa essere efficace a lungo termine, può essere utile un percorso psicoterapeutico individuale e/o di coppia, dove la neomamma può ricevere il sostegno psicologico necessario per superare il difficile momento, mentre la coppia può trovare uno spazio di riflessione adeguato ad affrontare, in senso adattivo, tutti i cambiamenti che la nascita di un figlio comporta per i singoli partner, la coppia e la coppia genitoriale.
L’intervento psicologico è sostenuto da un ascolto attivo e una comunicazione empatica che possa consentire alla neomamma di sentirsi libera e non giudicata nell’esprimere i propri stati emotivi inerenti al nuovo ruolo di donna, di mamma, di compagna, di figlia, alla nuova immagine corporea e alla propria progettualità personale e professionale.
Durante l’intervento terapeutico, l’analisi delle tentate soluzioni utilizzate per gestire la situazione può essere uno spunto per introdurne di più efficaci, modificando degli schemi cognitivi, emotivi e comportamentali disturbanti e disfunzionali che sostengono la sintomatologia.
Oltre a rinforzare l’idea della normalità di alcune sensazioni che la neomamma si trova a vivere, dovute alla stanchezza che il suo corpo sta accumulando, allo sforzo a cui si è sottoposta con la gravidanza prima e durante il parto, va condiviso che il completo recupero avverrà gradualmente e la possibilità di chiedere un sostegno, sentendosi in questo momento pienamente o parzialmente “incapace”, dimostra l’estrema forza e la volontà di prendersi cura, oltreché di se stessa, anche del proprio bambino o bambina, più di quanto non pensi.
POSSO ESSERTI D’AIUTO?
Essere ascoltati e confrontarsi in uno spazio professionale, empatico e non giudicante è il primo passo per iniziare a prendersi cura di Sé.
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