Qualunque tipo di relazione, d’amore o di amicizia, presuppone e implica il contatto con un’altra Persona. Non tutti, però, riescono a lasciarsi andare e ad aprirsi agli altri e, quindi, nemmeno a stringere legami. Questo è il caso delle persone anaffettive, che sembrano non mostrare i loro sentimenti e non lasciarsi coinvolgere da quelli degli altri.
Con il termine anaffettivo si indica una Persona che non è in grado di provare ed esternare dei sentimenti e delle emozioni, in situazioni in cui generalmente ciò accade. Ciò si riflette su tutti gli aspetti della vita sociale e relazionale, anche e soprattutto nei rapporti con i familiari e con il partner.
In questi casi l’intelligenza emotiva risulta scarsa sia rispetto alle competenze personali di riconoscimento e gestione delle proprie emozioni e sia rispetto alle competenze sociali di riconoscimento e gestione delle dinamiche relazionali.
Evitare le emozioni per non lasciarsi ferire, può essere la strategia che inconsapevolmente mette in atto una Persona anaffettiva.
Come si manifesta l’anaffettività
L’anaffettivo risulta freddo, distaccato e distante. Nei casi più complessi, l’anaffettivo evita il contatto fisico, anche al punto da accusare evidente disagio e imbarazzo quando viene toccato o abbracciato.
Nei casi di alessitimia, invece, ci troviamo di fronte ad un deficit della consapevolezza emotiva che comporta la difficoltà nel riconoscere, esprimere e distinguere le diverse emozioni e sensazioni in se stessi e negli altri.
Individuare l’anaffettività, però, non è sempre facile, tuttavia è possibile riscontrare caratteristiche piuttosto ricorrenti, come:
Dal punto di vista psicopatologico l’anaffettività è un sintomo e non un disturbo.
Il particolare stato psichico dell’anaffettività ha dei tratti in comune con altri disturbi, ad esempio alcune modalità relazionali dei narcisisti sono simili a quelle degli anaffettivi. Mentre il narcisismo provoca una chiusura e determina una mancanza di empatia che impedisce qualsiasi manifestazione affettiva alla pari, con un’oscillazione fra iper-valutazione di sé, sensazioni di inadeguatezza, rabbia e aggressività, l’anaffettività si esprime attraverso una sorta di “avidità emotiva” che protegge dal vivere le emozioni profonde per il timore di soffrire.
Il LAVORO, essendo distante dalle emozioni e dall’intimità, sembra appassionare un anaffettivo, ma è così perché non rappresenta un pericolo.
Le persone anaffettive, spesso, tendono a mettere da parte i sentimenti e le emozioni dedicandosi esclusivamente all’investimento professionale, dando particolare rilievo ai contenuti materiali e narcisistici della propria vita, evitando relazioni intime e il coinvolgimento emotivo-affettivo, che ogni relazione implica. Una tendenza a vivere la vita per le “cose” e per “l’immagine” anziché per la vita e la felicità, trattando anche le persone come se fossero degli oggetti da usare per i propri benefici e da scartare quando non servono più.
Come si sviluppa l’anaffettività
Le relazioni che viviamo nei primi anni di vita definiscono le mappe relazionali che utilizzeremo per il proseguo della vita. Nel corso del tempo apprendiamo quelle competenze emotive che ci permetteranno di vivere in relazione.
Lo psicologo inglese John Bowlby, padre della Teoria dell’attaccamento, attraverso le sue ricerche, ha definito le caratteristiche della persona evitante riconducibili ad una forte anaffettività. L’evitante non è in grado di riconoscere i propri stati emotivi poiché, fin da piccolo, qualcuno non li ha riconosciuti per lui. Nessuno gli ha insegnato a riconoscere le emozioni. Questo può essere il caso in cui un bambino fin dai primi istanti della sua vita cerca continuamente di “toccare” una madre, di “essere visto” da una madre, di “essere sentito” da una madre, ma questo non avviene mai.
Presumibilmente, quel bambino, con il tempo, imparerà a non lasciare più spazio a questo istinto di avvicinamento. Il senso di frustrazione lo porterà ad evitare situazioni analoghe.
Per comprendere l’origine del “DISTACCO EMOTIVO DIFENSIVO” dell’anaffettivo, bisogna, quindi, fare un passo indietro e ritornare all’infanzia in cui forse si erano vissute particolari situazioni di abbandono, traumatiche, di poco amore, che hanno generato tale freddezza. Un distacco emotivo difensivo permette al bambino di difendersi da una possibile sofferenza e questo schema comportamentale lo riproporrà in tutte le sue relazioni.
Si tratta di persone che quando vengono sfiorate dagli affetti, dall’amore o da qualsiasi forma di sentimento positivo, sono pervasi dall’angoscia d’abbandono e si difendono congelando le emozioni, i sentimenti.
Oltreché da imprinting derivanti dalle relazioni significative dell’infanzia, l’anaffettività può essere la CONSEGUENZA DI UN TRAUMA o di situazioni abusanti.
In tal senso, la psicologia non riconosce l’anaffettività come una patologia, ma come un sintomo.
Il trauma agisce in modo tale da immobilizzare la Persona, non consentendogli più di entrare in contatto con se stessa. In seguito ad una situazione vissuta e percepita dalla Persona come eccessivamente dolorosa, l’anaffettività può essere la risposta, come difesa personale, nei confronti di un ambiente potenzialmente perturbante, che potrebbe destabilizzarla nuovamente.
In casi più gravi come nel caso del disturbo post traumatico da stress, la Persona può neppure ricordare il trauma subito, sperimentando solamente le conseguenze dell’evento.
Partner anaffettivo: cosa fare?
Interagire con una persona anaffettiva non è semplice. Difendendosi dal provare emozioni, l’anaffettivo non riesce a mettersi in contatto con gli altri e preferisce proteggersi dietro una barriera di razionalità, silenzio e ragionamenti logici. Chi prova a stare al fianco di una persona anaffettiva spesso si sente disorientato e solo nonostante la vicinanza fisica.
Lo scarso coinvolgimento emotivo dell’anaffettivo, abile nel far passare come atteggiamenti perfettamente normali le sue chiusure emotive e la distanza relazionale, spinge il partner a mettersi in discussione e a cercare di ridefinire costantemente il rapporto.
Non sempre la Persona anaffettiva è in grado di comprendere le proprie difficoltà e il desiderio di cambiare. Questo processo può essere agevolato all’interno di un percorso psicologico attraverso il quale la Persona può lavorare su se stessa, sul proprio passato, sul vissuto emotivo e sentimentale, acquisendo una maggiore competenza emotiva e consapevolezza di Sé.
Capire che la propria modalità di esprimere i sentimenti e di riconoscere le emozioni proprie e altrui, ha origini molto lontane, spesso risalenti ai modi con cui siamo stati amati e accuditi, o non amati e non accuditi, durante la nostra infanzia, permette di recuperare le esperienze emotive e affettive non appaganti, espresse attraverso atteggiamenti difensivi.
Per quanto riguarda la coppia, tra gli obiettivi di un percorso terapeutico ci può essere quello di approfondire la storia affettiva presente e passata dei partner, facendo emergere l’influenza che il passato relazionale, affettivo ed emotivo di entrambi ha nella relazione presente. Si elaboreranno in maniera congiunta e/o individuale eventuali ferite interiori, si agevolerà il ripristino di una comunicazione efficace nella coppia, dell’intimità emotiva che è venuta a mancare, dell’entusiasmo di ricostruire una progettualità condivisa e appagante per il sistema coppia e per il singolo partner.
Intervento terapeutico
Essere consapevoli delle proprie ferite emotive, riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni e ai propri sentimenti, permette di cogliere e rispettare le emozioni e i sentimenti nelle altre persone, punto di partenza imprescindibile per costruire relazioni affettive soddisfacenti.
Il presupposto per un percorso terapeutico è la motivazione al cambiamento, sarà questa che sosterrà la Persona a riprendere contatto con le proprie emozioni e ad agevolare un’alfabetizzazione emotiva che consentirà di comprendere ed accettare tutti i continui mutamenti emozionali dello scorrere della vita.
Stimolare il processo autoriflessivo sui propri schemi emotivi, cognitivi, relazionali e comportamentali, può essere utile per perseguire i propri obiettivi personali, sentimentali e professionali con una nuova determinazione, padronanza di Sé e libertà decisionale.
Un percorso psicoterapeutico si avvale di tecniche e strumenti diversificati in base all’unicità della Persona e ai suoi bisogni (es. Terapia delle emozioni, terapia EMDR, Ipnosi ericksoniana, tecniche di Mindfulness, tecniche immaginative, tecniche di rilassamento, l’apprendimento di tecniche di autoipnosi da utilizzare quotidianamente per gestire gli stati emotivi, strumenti grafici, la Fotovideo Terapia, home work, prescrizioni comportamentali, Carte Dixit, esercizi di role play, etc.) può consentire di rintracciare i costrutti o le credenze responsabili dell’attivazione disfunzionale di particolari emozioni e/o di processi che le inibiscono e le congelano, facendo emergere modalità alternative e più adattive di costruzione e lettura della realtà.
POSSO ESSERTI D’AIUTO?
Essere ascoltati e confrontarsi in uno spazio professionale empatico e non giudicante è il primo passo per iniziare a prendersi cura di Sé.
Puoi contattarmi per chiedere informazioni o fissare un appuntamento, stabiliremo insieme come proseguire e, se Tu deciderai, inizieremo un percorso personalizzato, nel quale sarai parte attiva nel processo di ricerca del tuo benessere fisico, psicologico e relazionale.
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