Empatia
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La parola empatia deriva dal greco “en-pathos” e tradotto letteralmente significa “sentire dentro”.

 

L’empatia è la base dell’intimità relazionale e della connessione interpersonale.

 

Per empatia si intende la capacità di comprendere le emozioni e il punto di vista di un’altra Persona ed utilizzare questa comprensione per guidare l’azione futura.

 

Cenni storici

Già Platone e Aristotele avevano condiviso una primitiva idea circa la presenza di un processo di immedesimazione che si attivava attraverso l’arte, in particolar modo nel teatro, tra spettatore ed eroe tragico. Difatti, pubblico e protagonista soffrivano insieme, diventavano tutt’uno. Per i greci l’empatia non aveva il significato che oggi le attribuiamo, Aristotele parlava di “pietà e compassione”.

È solo nella seconda metà del Settecento, in Germania, che appare il termine Einfühlung, “sentire dentro”, che nasce in pieno Romanticismo per descrivere, soprattutto nell’arte e nella filosofia, la fusione tra uomo e natura come nuova percezione del mondo.

Nelle sue opere, il filosofo Robert Vischer nel 1873, parla di una “capacità di percepire la natura esterna, come interna, appartenente al nostro stesso corpo”.

Successivamente, Theodor Lipps, nel 1906, utilizzò la parola Einfühlung per descrivere l’empatia come funzione psicologica fondamentale per la partecipazione emotiva.

Nel 1917, Edith Stein farà un passo avanti nella definizione di empatia come comunicazione intersoggettiva: “l’empatia è l’atto paradossale attraverso cui la realtà di un altro, di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove, nell’ignoto, diventa elemento dell’esperienza più intima cioè quella del sentire insieme che produce ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre, imprevisto”.

Però, è grazie allo psicologo inglese Edward Titchener (1909) che il termine empatia assume il significato odierno. Infatti, Titchener cercava una parola diversa da “simpatia” (sentire insieme quello che uno prova), per indicare la capacità umana di mettersi al posto degli altri per comprenderli meglio.

Quindi, è nel corso del XX secolo che si stabilizza il concetto di empatia: la presenza di una relazione interpersonale basata sulla risposta emotiva che si attiva nel momento in cui si percepisce che un’altra Persona sta provando un’emozione.

 

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I tre tipi di empatia

Esistono diverse classificazioni dell’empatia. Lo psicologo americano Mark Davis ne ha evidenziate tre:

  • Empatia cognitiva. Si parla di empatia cognitiva come capacità di percepire la prospettiva di un’altra Persona per comprenderne i pensieri, le emozioni e le azioni. Infatti, si intuisce il pensiero dell’Altro e se ne comprende il punto di vista, anche senza implicare necessariamente una condivisione emotiva. Si può riassumere con “CAPISCO CIO’ CHE STAI VIVENDO”.
  • Empatia emozionale o emotiva. Si tratta di provare, letteralmente, i sentimenti dell’Altro. Questa empatia entra in gioco quando vediamo qualcuno soffrire e soffriamo con lui. È dovuta a un contagio emotivo. Alcune persone sono così inclini a manifestare questo tipo di empatia da esserne sopraffatti, sottoponendosi così a un enorme stress, è ciò che si conosce come “sindrome da empatia”.  Si può riassumerne con “PROVO QUELLO CHE PROVI TU”.

 

Tuttavia, nonostante tale distinzione (empatia cognitiva ed emozionale), alcuni ricercatori considerano l’empatia come un costrutto multidimensionale, in cui vi è un’integrazione delle due componenti, affettiva e cognitiva.

 

  • Preoccupazione empatica. È la capacità di riconoscere gli stati emotivi degli altri, di sentirsi connessi emotivamente e, sebbene potremmo sperimentare un certo grado di disagio personale, siamo in grado di gestire quel disagio e mostrare preoccupazione autentica. A differenza dell’empatia emozionale, la Persona che sperimenta questo tipo di empatia si mobilita per aiutare e confortare, ma non è paralizzata dalle emozioni e/o sentimenti.

 

Visione multidimensionale dell’empatia

Il processo empatico comporta l’attivazione di funzioni complesse su molti livelli, per quanto le Neuroscienze hanno dimostrato che essa è parte del corredo genetico della nostra specie ed è probabilmente uno dei motori più potenti dell’evoluzione.

Le componenti dell’empatia sono state per la prima volta individuate, approcciando una visione multidimensionale, dalla psicologa americana Norma Feshbach. L’empatia per la Feshbach associa ELEMENTI COGNITIVI E AFFETTIVI ed è costituita da tre componenti:

  • la capacità di decodificare gli stati emotivi degli altri;
  • la capacità di assumere il ruolo e la prospettiva dell’Altro;
  • la capacità di rispondere affettivamente alle emozioni provate dagli altri.

Le prime due componenti sono abilità cognitive, mentre la terza associa l’empatia ad una sfera affettiva ed emotiva.

 

Oltre alla componente cognitiva e a quella affettiva, secondo lo psicologo americano Martin L. Hoffman l’esperienza empatica è composta da un terzo fattore: la COMPONENTE MOTIVAZIONALE. Sentire empatia per una Persona che sta soffrendo, infatti, rappresenterebbe una motivazione per mettere in atto comportamenti di aiuto e attivare condotte di accudimento e cura. L’effetto motivante dipende dal fatto che condividere l’emozione dell’Altro, proteggerlo, fa provare a chi aiuta uno stato di benessere, mentre la scelta di non aiutare l’Altro porterebbe con sé un senso di colpa.

Questi processi sono influenzati, oltreché da aspetti genetici, dai contesti d’appartenenza e dalla cultura di riferimento nei quali la Persona nasce e cresce.

 

Cosa significa essere empatici?

Perché una Persona possa provare empatia è necessario che esistano certe condizioni di base.

 

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Si parla di empatia negativa o dispatia quando la Persona non riesce a empatizzare con la sfera emotiva altrui, poiché il proprio vissuto e le proprie emozioni prendono il sopravvento e ostacolano l’attenzione verso l’Altro.

Questa barriera che impedisce di entrare in consonanza con l’Altro, può derivare da un’esperienza negativa presente o passata che blocca la capacità di partecipazione emotiva. Non si tratta di un sinonimo di indifferenza o di freddezza emotiva, ma di un’azione mentale compensatoria all’empatia, con l’obiettivo di proteggere e di impedire che le emozioni altrui creino un disagio psichico.

 

Empatia nel rapporto Genitori e Figli

Per la crescita del bambino è fondamentale un ambiente in grado di agevolare il suo sviluppo fisico ed emotivo, una base sicura per creare quei legami necessari ad affrontare la vita.

Educare all’empatia vuol dire entrare in relazione con i figli, cercare di mettersi nei loro panni, capire cosa provano, osservare come vedono il mondo, per aiutarli a sviluppare le proprie potenzialità.

In quest’ottica, si possono educare i bambini all’intelligenza emotiva e al riconoscimento delle proprie emozioni affinché imparino sin da piccoli a riconoscerle ed esprimerle in modo evolutivo.

Le figura genitoriali e significative dei contesti d’appartenenza del bambino hanno un ruolo fondamentale per agevolare una crescita emotiva e relazionale adattiva dei propri figli.

 

Per Daniel Goleman psicologo americano che ha coniato il termine di Intelligenza emotiva, esistono 4 tipologie di genitore:

  • Non curanti: sottovalutano, ridicolizzano o ignorano le emozioni negative dei figli.
  • Censori: rimproverano e puniscono i figli per la manifestazione dei loro sentimenti negativi.
  • Lassisti: accettano le emozioni negative dei figli dimostrandosi empatici, ma non riescono a porre dei limiti al loro comportamento e dunque a guidarlo.
  • Allenatori emotivi: simili ai genitori lassisti, sono invece capaci di parlare delle emozioni che prova il bambino, insegnandogli a definirle e a trovare insieme una soluzione.

 

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Saper riconoscere le emozioni, essere empatici, significa tuttavia che il genitore deve diventare per primo consapevole delle proprie emozioni e ALLENARSI EMOTIVAMENTE.

 

Empatia nel rapporto tra Insegnanti e Studenti

L’empatia è alla base di ogni comunicazione efficace, è un ascolto attivo privo di giudizio, in cui chi parla sente di essere realmente compreso e accettato.

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La percezione che ognuno ha di se stesso dipende molto da come si sente percepito e/o giudicato dagli altri, soprattutto se a giudicare è chi è chiamato a valutare le nostre capacità.

Creare in classe un clima empatico nel quale si riesca ad ascoltare e comprendere cosa accade emotivamente agli studenti, accettandone le diverse personalità e opinioni, favorendo l’apertura e la discussione, può aiutare la crescita individuale di ogni studente come Persona.

 

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Empatia nella Coppia

Stare in coppia vuol dire incontro tra due mondi, incontro di storie ed esperienze.

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L’ascolto è sicuramente la prima abilità da apprendere, ma ascoltare non vuol dire solo ‘sentire’ ciò che viene detto, ma comprendere anche ciò che non è detto a parole, ovvero decifrare la sfera emotiva dell’Altro.

Quando si ascolta empaticamente, si trasmette all’Altro l’importanza di quello scambio e ciò alimenta la fiducia e la relazione. Si può capire dove si trova l’Altro emotivamente.

All’interno di una coppia non basta capire cosa il partner sta provando. Essere empatico vuol dire anche riuscire a dare una risposta efficace, adeguata e coerente con il bisogno emotivo specifico del partner.

Per essere empatici in coppia è necessario anche accettare le diversità. Entrare in relazione con la diversità e accettare che il mondo emotivo o le opinioni dell’Altro hanno lo stesso valore delle nostre. L’accettazione del partner, delle sue caratteristiche e della sua personalità, è certamente un fattore essenziale nella relazione d’amore, come anche la capacità empatica.

L’empatia aumenta il grado di intimità e di vicinanza reciproca ed è un’occasione di crescita non solo per la relazione, ma anche per i partner. Sentirsi accolti, rispettati e non giudicati è necessario per il benessere del sistema coppia e del singolo.

 

Assenza o carenza di empatia

I processi neurofisiologici coinvolti nell’empatia coinvolgono varie aree cerebrali complesse che, spesso, svolgono anche altre funzioni. Per questo motivo, la diminuzione delle capacità empatiche può essere correlata a disturbi o patologie, in particolar modo nei disturbi della personalità e psicosi.

Le persone antisociali o psicopatiche manifestano un basso o un assente livello di empatia (anche se possiedono una buona capacità di riconoscere alcune emozioni altrui, specialmente la paura), nessuna sensibilità verso i problemi degli altri, spregiudicatezza e indifferenza verso norme e valori.

Persone con personalità narcisistica sono incapaci di percepire che anche gli altri hanno bisogni e necessità e sono quindi convinti che il loro modo di vedere il mondo sia giusto. Le persone con questo profilo psicologico, oltre ad avere una carenza di empatia hanno un’idea grandiosa di Sé e un costante bisogno di ammirazione.

Anche le persone con personalità istrionica non riescono a comprendere il limite delle relazioni sociali e tendono ad un’emotività esagerata e a comportamenti provocanti e/o seduttivi incuranti del contesto sociale in cui si trovano.

Nella sindrome autistica sono presenti disturbi della comunicazione verbale e non verbale, associate talvolta ad alcune forme di ritardo cognitivo. Il bambino autistico è refrattario alla comunicazione diretta, non riconosce molti tipi di emozioni o non vi risponde adeguatamente, sembra preferire il contatto e l’attività con gli oggetti piuttosto che con le persone e, spesso, si chiude in un mutismo o un soliloquio incomprensibili agli occhi dei genitori e degli insegnanti. Il deficit di empatia e di riconoscimento delle emozioni appare essere il sintomo più complesso da gestire di questa patologia.

In ambito neurologico, si è evidenziato che lesioni delle aree frontali cerebrali, in particolare la corteccia prefrontale, comportano alterazioni comportamentali che ostacolano la comunicazione e l’interazione sociale. Le demenze frontali, come ad esempio il morbo di Alzheimer, così come ictus o alcuni traumi cranici, determinano la “sindrome frontale”, ovvero una condizione che apporta significativi cambiamenti nella condotta sociale, nella personalità, nella capacità di autocontrollo, in quella empatica e nella disinibizione della Persona.

 

Empatia: innata o appresa?

Si può diventare empatici o è un’abilità ereditata dalla nascita?

L’empatia è una capacità che può essere appresa. I bambini imparano a identificare e regolare le proprie emozioni attraverso le interazioni con gli adulti, in primo luogo con i loro genitori. Quando gli adulti rispondono agli stati emotivi dei bambini, non creano solo le basi per la differenziazione del Sé, ma anche per sviluppare la percezione dell’Altro.

Da numerose ricerche si è potuto osservare che i bambini che non sperimentano questi tipi di interazioni hanno una ridotta percezione di se stessi, soffrono di difficoltà nel gestire e regolare le proprie emozioni e spesso mostrano un’empatia limitata. Quando si sviluppa una forma di attaccamento evitante, ad esempio, la Persona non si sente a suo agio nei contesti intimi e ha problemi per riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri. Quando si sviluppa una forma di attaccamento ansioso, la Persona spesso non ha la capacità di moderare le proprie emozioni e potrebbe sentirsi sopraffatta dalle emozioni di un’altra Persona.

Pertanto, mentre il nostro cervello è predisposto per provare empatia, è necessario che questa abilità si sviluppi durante tutta la vita, specialmente nei primi anni di vita.

Se una Persona fin da piccola è accudita da genitori capaci di dare un FEEDBACK continuo, rassicurante e positivo alle sue azioni e scoperte, il Sé del bambino ottiene risposte empatiche dalla risposta emotiva del genitore e la sua crescita avverrà in maniera equilibrata favorendo l’autonomia e l’indipendenza.

 

Ci si può “allenare” all’empatia?

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Essere empatici significa coltivare quella che nella teoria delle intelligenze multiple viene chiamata Intelligenza Emotiva.

 

POSSO ESSERTI D’AIUTO?

Essere ascoltati e confrontarsi in uno spazio professionale, empatico e non giudicante è il primo passo per iniziare a prendersi cura di Sé.

Esplorare, riconoscere, accettare, risignificare, gestire, comprendere la funzionalità delle proprie emozioni, nonché acquisire consapevolezza circa le proprie capacità relazionali, comunicative ed empatiche può essere utile per sperimentare una maggiore competenza e padronanza di se stessi e un maggiore senso di autoefficacia, ritornando a perseguire i propri obiettivi personali e professionali con determinazione, forza e libertà decisionale.

Un percorso psicoterapeutico  si avvale di tecniche e strumenti diversificati in base all’unicità della Persona e ai suoi bisogni (es. Terapia delle emozioniterapia EMDRIpnosi ericksoniana, tecniche di Mindfulness, tecniche immaginative, tecniche di rilassamento, l’apprendimento di tecniche di autoipnosi da utilizzare quotidianamente per gestire gli stati emotivi, strumenti grafici, la Fotovideo Terapia, home work, prescrizioni comportamentali, Carte Dixit, esercizi di role play, etc.) che consentono di rintracciare i costrutti o le credenze responsabili dell’attivazione disfunzionale di particolari emozioni e/o sentimenti, i quali vanno identificati, destrutturati e ristrutturati, facendo emergere modalità alternative e più adattive di costruzione della realtà.

Puoi contattarmi per chiedere informazioni o fissare un appuntamento, stabiliremo insieme come proseguire e, se Tu deciderai, inizieremo un percorso personalizzato, nel quale sarai parte attiva nel processo di ricerca del tuo benessere fisico, psicologico e relazionale.

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