Episodi di timidezza sono normali in ognuno di noi, tutti, infatti, in alcune situazioni, ne abbiamo fatto esperienza.
La timidezza è stata descritta dagli studiosi in molti modi diversi e non è ancora possibile darne una definizione univoca: alcuni si sono concentrati sui suoi aspetti psicologici, interni alla singola Persona, intendendo cioè la timidezza come una esperienza soggettiva di preoccupazione e nervosismo nelle situazioni sociali. Altri hanno sottolineato maggiormente gli aspetti più direttamente osservabili della timidezza, cioè i suoi risvolti comportamentali quali l’inibizione o l’evitamento delle situazioni interpersonali.
Quel che pare caratterizzare le persone timide, seppur in gradi molto differenti, è la sensazione di essere sottoposte all’osservazione e al giudizio degli altri, giudizio che temono essere negativo. Questo può alimentare bassa autostima e scarsa fiducia in se stessi, che aumentano a loro volta il timore di non essere accettati.
Spesso, lo stato emotivo di timidezza si esprime in un atteggiamento che dall’esterno appare remissivo o inibito, attraverso sguardo basso, nervosismo, goffaggine, voce tremolante, mentre da un punto di vista fisiologico si manifesta con rossore sulle gote, sudorazione eccessiva, palpitazioni, respiro corto e affannato.
L’esperienza della timidezza risulta molto eterogenea e abbraccia una serie di condizioni differenti per intensità, pervasività e grado di sofferenza arrecato alla Persona.
Questa paura può provocare attacchi di panico, ansia, frustrazione fino ad arrivare a condizioni patologiche come l’ansia sociale e il disturbo evitante di personalità con ritiro e isolamento sociale.
Come insorge la timidezza
L’origine della timidezza può risalire all’infanzia e alle relazioni con le figure di riferimento.
Può essere utile una lettura della storia personale che ha elicitato tale stato emotivo e ha portato la Persona a non avere fiducia in sé e nelle proprie capacità. In genere, questa mancanza di fiducia affonda le radici nelle relazioni con le figure di riferimento e nel modo in cui è stata vissuta la loro opinione in merito alle proprie abilità e possibilità di riuscita nella vita. Ci troviamo spesso di fronte a relazioni di accudimento squalificanti, mortificanti, giudicanti, nonché manipolative nelle quali il bambino esperisce un senso di incapacità, inferiorità, impotenza e sopravvive e/o si adatta all’ambiente reprimendo le proprie emozioni e/o vergognandosi di quello che prova e sentendosi sbagliato.
Vivendo una condizione di inibizione, da adulto sarà guidato da questi schemi cognitivi, emotivi e comportamentali disfunzionali e riprodurrà queste modalità relazionali apprese:
La Persona timida deve essere accompagnata a riscoprire le proprie risorse e riattualizzarle nel presente, apprezzandole a differenza di quello che è accaduto nel passato, quando gli è stato negato il valore che merita.
Timidezza d’amore
Il termine timidezza d’amore deriva dall’inglese “love shyness”, parola coniata da Brian G. Gilmartin, Professore di Psicologia presso la Humboldt State University in California, che per primo ha studiato in maniera approfondita il fenomeno.
Le persone timide in amore, proprio per l’effetto delle credenze negative che hanno di sé, sono dominate dalla paura di fallire, di essere respinti, di essere inopportuni, di non essere capaci di rapportarsi, di apparire ridicoli o inaccettabili, di diventare oggetto dell’ilarità o del giudizio altrui.
Sostanzialmente, le persone timide in amore hanno il timore che le inadeguatezze che pensano di avere diventino evidenti agli occhi della Persona oggetto del sentimento d’amore e, pertanto, di andare incontro a un insuccesso.
Gli schemi cognitivi disfunzionali, caratteristici nella timidezza d’amore, si concludono, generalmente, con PENSIERI AUTOMATICI NEGATIVI A CARATTERE PREVISIONALE, che possono presentarsi sia in forma verbale, sia in quella di immagini.
I pensieri in forma di immagini mentali si presentano, in genere, come una sorta di istantanee flash che possono fissare volti che esprimono emozioni di rifiuto sia della Persona oggetto del sentimento d’amore, sia di altre persone che ispirano il timore di giudizio negativo, sia momenti propri del rifiuto o dell’insuccesso. Le immagini mentali possono anche presentarsi in forma di “video mentali” di breve durata.
I pensieri previsionali negativi, tendenzialmente, producono una ipervalutazione della minaccia, ovvero della SENSAZIONE DI RIFIUTO, INSUCCESSO, FALLIMENTO, GIUDIZIO NEGATIVO DEGLI ALTRI, etc.
Questa valutazione di rischio elevato, vissuta come reale innesca i fenomeni emotivi e i sintomi dell’ansia, alimentando un processo circolare dell’intera attività di pensiero.
Il comportamento condizionato, risultante sia dal processo cognitivo, conduce a evitamenti, elusioni totali o parziali e alla fuga. Sebbene, i comportamenti siano l’epilogo di una determinata situazione, svolgono anche una funzione di rinforzo dell’insieme degli schemi cognitivi e metacognitivi generando uno stato costante di timidezza nella sfera amorosa (relazionale ed intima).
L’insieme di tutte queste attività, cognitive, metacognitive, emozionali, ansiogene e comportamentali, determinano un sistema circolare che cattura la Persona e la induce a ripetere sempre lo stesso iter cognitivo e comportamentale.
Nella timidezza d’amore, ma anche in tante altre forme di timidezza e ansie sociali, quando ci si rende conto del carattere reiterativo dei propri comportamenti e dei propri insuccessi, subentra anche la rassegnazione passiva alla propria condizione, condizione che può condurre a veri e propri disturbi d’ansia e disturbi depressivi.
Tecniche per gestire la timidezza
La timidezza sembra prendere origine dalle nostre paure e fa sperimentare uno stato di malessere nell’interazione con i nostri mondi interpersonali. Per gestire la timidezza può essere utile riflettere su alcuni pensieri:
POSSO ESSERTI D’AIUTO?
La timidezza non è una caratteristica comportamentale, è un’emozione che influenza il nostro modo di sentire e agire che a volte può complicare le nostre relazioni.
Se uno stato di timidezza è predominante nell’interazione con i nostri mondi relazionali, può condurre a limitare la possibilità di sperimentare situazioni, eventi, accadimenti, rapporti che potrebbero portarci dei benefici nella nostra crescita personale e/o professionale.
All’interno di un percorso terapeutico individuale e/o di gruppo non sarà necessario eliminare l’emozione della timidezza, ma imparare a gestire e cambiare il punto di vista dalla quale si guarda. La timidezza si può trasformare in motivazione.
Il tal senso, il lavoro può articolarsi:
- Specificando quali sono le situazioni e/o le Persone che ci provocano emozioni di vergogna e ansia e cercare di lavorare su queste reazioni.
- Comprendendo le motivazioni che innescano quest’emozione. Quando abbiamo smesso di incolparci per la nostra timidezza è necessario cominciare a comprenderne le ragioni della stessa.
- Iniziando a pensare di essere meno esigenti allontanandosi da ideali di Perfezionismo. Essere intransigenti con la propria timidezza non fa altro che peggiorare la situazione. Accettare questa caratteristica ci aiuta a superarla e ad utilizzala come spunto per affrontare una crescita personale. Se ci si incolpa costantemente si rimarca un’immagine negativa di se stessi.
- Ridimensionando l’importanza del giudizio degli altri. Iniziare a fare meno caso a ciò che pensano gli altri, in quanto tutti hanno dei difetti. L’importante è non concentrarsi troppo sui propri, ricordarsi dei punti forti del proprio carattere e metterli in evidenza.
- Evitando il paragone con gli altri. Tutti hanno le proprie insicurezze, non ha senso sentirsi minacciato da persone che probabilmente non hanno niente a che fare con noi.
- Individuando i tuoi punti di forza e cerca di puntare su quelli. Se sei una persona timida, probabilmente sei un buon ascoltatore o osservatore, o una persona sensibile. Utilizza questi punti forti per trovare un ruolo all’interno del gruppo sociale.
Esplorare, riconoscere, accettare, risignificare, gestire, comprendere la funzionalità delle proprie emozioni, nonché acquisire consapevolezza circa le proprie capacità relazionali e comunicative, può essere utile per sperimentare una maggiore padronanza di se stessi e un maggiore senso di autoefficacia, ritornando a perseguire i propri obiettivi personali e professionali con determinazione, forza e libertà decisionale.
ACQUISIRE UNA MAGGIORE COMPETENZA EMOTIVA e individuare gli schemi mentali, emotivi e comportamentali, automatici e disfunzionali, appresi all’interno dei propri contesti significativi d’appartenenza e i circoli viziosi, che impediscono di vivere in uno stato di benessere psicologico e relazionale, può essere utile per prendere consapevolezza di Sé e della propria storia, pacificandosi con il passato, rivolgendo uno sguardo positivo al futuro, ma soprattutto vivere con intensità il presente.
Il percorso psicoterapeutico si avvale di tecniche e strumenti diversificati in base all’unicità della Persona e ai suoi bisogni (es. Terapia delle emozioni, terapia EMDR, Ipnosi ericksoniana, tecniche di Mindfulness, tecniche immaginative, tecniche di rilassamento, l’apprendimento di tecniche di autoipnosi da utilizzare quotidianamente per gestire gli stati emotivi, strumenti grafici, la Fotovideo Terapia, home work, prescrizioni comportamentali, Carte Dixit, esercizi di role play, etc.) che consentono di rintracciare i costrutti o le credenze responsabili dell’attivazione disfunzionale di particolari emozioni e/o sentimenti, i quali vanno identificati, destrutturati e ristrutturati, facendo emergere modalità alternative e più adattive di costruzione della realtà.
Essere ascoltati e confrontarsi in uno spazio professionale, empatico e non giudicante è il primo passo per iniziare a prendersi cura di Sé.
Puoi contattarmi per chiedere informazioni o fissare un appuntamento, stabiliremo insieme come proseguire e, se Tu deciderai, inizieremo un percorso personalizzato, nel quale sarai parte attiva nel processo di ricerca del tuo benessere fisico, psicologico e relazionale.
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