dal "qui e ora" al "lì e allora"
Fotovideo Terapia

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La diffusione dei social network e di strumenti digitali nell’era della “connessione permanente” contribuisce ad aumentare la produzione e la condivisione di fotografie, filmati e documenti multimediali. All’interno di questo scenario, è scontato l’utilizzo di strumenti digitali multimediali in vari contesti di intervento e progettazione, tra i quali quello psicoterapeutico.

La Fotovideo Terapia può essere descritta come un campo di applicazione della mediazione artistica finalizzato alla facilitazione dei processi narrativi di una Persona nell’ambito di una relazione d’aiuto.

 

Un cenno di storia: l’utilizzo della fotografia in Terapia

Il primo ad applicare la fotografia alla salute mentale fu Hugh Diamond fotografo e psichiatra nel manicomio del Surrey County Lunatic Asylum dal 1848 al 1858. Diamond fotografò i pazienti del manicomio, utilizzando l’immagine come mezzo diagnostico per l’identificazione dei diversi tipi di malattia mentale. Lo psichiatra scoprì che quando le foto venivano mostrate ai pazienti avevano un effetto terapeutico positivo. Osservando le loro foto, i pazienti divenivano consapevoli della loro identità fisica e prestavano maggiore attenzione al loro aspetto, in quanto, ogni volta che si guardavano in una foto nella quale si vedevano bene, si sentivano meglio.

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Dopo Diamond, Judy Weiser, psicologa e arte-terapista, nel 1975 scrisse il primo articolo (J. Weiser, “Photography as a verb” in “The BC photographer”. Link: www.phototherapy-centre.com) nel quale utilizzò il termine “Fototerapia”, ossia l’impiego della foto in terapia come strumento non verbale per favorire la narrazione di sé e della storia del paziente.

Il primo convegno internazionale di Fototerapia si svolse nel 1979 negli Stati Uniti e nel 1982 la Weiser istituì il Photo Teraphy Centre a Vancouver in Canada come archivio e sede dei corsi sulle tecniche fotografiche in psicoterapia.

Judy Weiser definisce la Fototerapia come una tecnica di counseling interattiva che si serve delle interazioni dei pazienti nei confronti delle foto personali di famiglia e nello stesso tempo di foto fatte da altri o dai pazienti stessi durante la terapia, al fine di aiutarli a ritrovare la memoria e i sentimenti nascosti.

 

Cosa può esserci di terapeutico in una fotografia o in un video?

Nel momento in cui guardiamo una foto o un video che ci appartiene, colleghiamo quell’immagine al nostro vissuto, alla nostra storia. Ci guardiamo, ci riguardiamo, riconosciamo le persone ancora presenti nella nostra vita e quelle che non ci sono più. Questo processo ci fa entrare in un mondo fatto di rappresentazioni, emozioni, sensazioni, pensieri, sentimenti vissuti che spesso non si trovano neppure nelle immagini che stavamo guardando.

Guardare una foto, un’immagine, un video significa riposizionarsi nell’ambiente. Lo sguardo si ri – adatta alla situazione ambientale mediante accomodamenti posturali, cognitivi ed emotivi. Guardare una propria fotografia permette di ri – vedersi e ritrovarsi nei ricordi e nei vissuti evocati dall’immagine.

Il lavoro clinico con la foto e i video offre una possibilità di dialogo tra l’essere stato e l’essere nel presente, quel presente che permette di introdurre e riconsiderare cose differenti da quelle conosciute e viste in quella foto, immagine o video.

È come se la Persona avesse una seconda possibilità relativa a scelte passate, a pensieri passati, a emozioni passate. Nel presente del lavoro terapeutico, la spinta trasformativa, insita nella Persona, agevola l’assunzione di aspetti e valori differenti dal prima rispetto a ciò che sta osservando.

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Inoltre, il linguaggio analogico (non verbale), proprio delle immagini, permette di lavorare più direttamente sulle emozioni della Persona. Questo perché le emozioni a volte sono difficili da riconoscere ed esprimere e il linguaggio digitale (verbale), che è il linguaggio del pensiero, è troppo ristretto per accogliere l’infinita gamma emozionale dell’esperienza della Persona. Quindi, un linguaggio metaforico, il linguaggio del “come se…”, che è lo stesso linguaggio dell’arte, appare lo strumento comunicativo più efficace. Utilizzare forme artistiche come fotografie, immagini e video rende più facile la comunicazione perché a volte c’è difficoltà a parlare apertamente di certi argomenti e con questi strumenti si crea una distanza apparente, che però avvicina ai temi complessi, quelli più profondi, fornendo uno spazio di crescita e di riappropriazione delle proprie storie di vita, in un contesto di responsabilità, creatività, consapevolezza e attenzione al presente.

 

Fotovideo Terapia in pratica

In ambito terapeutico possiamo utilizzare le fotografie, i video, le immagini, le foto di riviste, disegni, cartoline, biglietti d’auguri, etc. come metafore del modo che la Persona ha di percepire il mondo e, più nello specifico, del suo modo di relazionarsi e di essere.

La Persona sceglie cosa portare di se stessa e di altri significativi per lei in terapia, sceglie il materiale con il quale lavorare, relazionarsi e dare significato.

Scelto il materiale, il processo terapeutico agevola la ricostruzione di significato attraverso una serie di domande (ad esempio, “qual è la storia di questa foto?”, “come è arrivata ad essere scattata?”, “contiene un qualsiasi significato per te?”, “cosa pensi o senti o ricordi quando la guardi?”, “chi ha fatto questo video?”, “se potessi cambiare qualche parte di questa foto e/o video quale cambieresti?”, “cosa potrebbe domandare o dire la foto se potesse parlare?”, “ci sono altre foto o video che vanno insieme a questa?”, “ a chi piacerebbe questa foto/video a tua madre, padre, o partner?”, “cosa piacerebbe di questo video a tua madre, padre, partner, etc.?”, etc. etc.) che approfondiscono il motivo per il quale la Persona ha deciso di scegliere quello specifico video, di soffermarsi su qualche frame particolare, ha deciso di disporre le fotografie in quella determinata posizione o associarle in un certo modo, etc.

Il materiale portato dalla Persona può consentire di creare delle storie, di avviare l’accesso verso i ricordi, le emozioni inerenti a se stessa e/o alle proprie storie relazionali con le sue persone significative (genitori, familiari, persone che non ci sono più, etc.) da esplorare e rileggere in senso più evolutivo.

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Il materiale portato dalla Persona in terapia ha una storia da raccontare, segreti da mostrare e memorie da portare alla luce. Scegliere di lavorarci significa aprirsi al cambiamento, a nuove alternative emotive e cognitive, tra l’“essere stato” e l’“essere nel presente”.

Il momento dello scatto di una fotografia o della registrazione di un video ha intorno un evento, un accadimento, un processo relazionale che va fatto riemergere (un prima e un durante). Il processo narrativo che ne segue non si limita alla sola osservazione della fotografia o del video. Si va ad aprire una sorta di diario che stimola la possibilità di recuperare il filo narrativo della propria storia e di sperimentare nuovi significati.

Inoltre, il vedersi e il ri-vedersi implica un’attenzione ai dettagli della propria immagine identitaria e che può generare infinite intuizioni emozionali e nuove narrazioni di se stessi. Soprattutto l’uso dell’immagine in diretta, attraverso la riproduzione del video e la proiezione su schermo, implica l’apertura di un palcoscenico emozionale su se stessi, una sorta di sala degli specchi per la propria trasformazione esistenziale.

La creazione di foto – racconti, di collage di foto e/o immagini, di alcuni prodotti multimediali significativi per la Persona ha il potere di portarci in un luogo diverso dal “qui ed ora” e ci permette di riabitare per un attimo lo sfondo che stiamo osservando, ma in modo diverso, perché anche se ci riguardiamo e ci riconosciamo in ciò che vediamo, quel “me stesso” che osservo in quell’immagine non sono più io o, meglio, ero io in un altro tempo.

La parte più importante che ci permette non solo di osservare e di prendere distanza, ma anche di considerare quell’immagine da punti di vista differenti, è proprio questa differenza temporale, dato che tra “ora” e “allora” è trascorso del tempo. Su questi vissuti, sostenuti dalla relazione terapeutica, si realizza il lavoro di ristrutturazione della mappa emotiva e cognitiva della Persona, che ha l’obiettivo di potenziare il senso di autostima e consapevolezza di Sé, di autorealizzazione e competenza relazionale.

 

Quali sono le tecniche applicate nella Fototerapia?

La psicologa e arte – terapista Judy Weiser illustra nell’articolo “Photography as a verb” in “The BC photographer”, le tecniche di fototerapia e il loro utilizzo in ambito terapeutico. Le cinque tecniche sono direttamente corrispondenti alle diverse relazioni possibili tra la Persona e la macchina fotografica. Esse sono interdipendenti, non costituiscano cinque metodologie distinte; la loro applicazione si avrà sempre quando vengono combinate.

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  1. FOTO SCATTATE O CREATE DALLA PERSONA: sono quelle in cui la Persona crea effettivamente l’immagine utilizzando una macchina fotografica o quelle delle quali si appropria anche se scattate da altri. Fanno parte di queste foto anche immagini raccolte da riviste, cartoline, internet, modificazioni digitali, etc. In terapia, si cercano i simboli personali, le metafore e altre informazioni di cui la Persona potrebbe essere inconsapevole al momento dello scatto della foto. Il dialogo terapeutico si può aprire anche su aspetti della vita della Persona che vanno al di là di ciò che appare in queste foto.
  1. FOTO SCATTATE DA ALTRE PERSONE: sono quelle in cui la Persona ha posato volutamente oppure quelle catturate spontaneamente a sua insaputa. Le foto scattate da altri permettono di capire il modo in cui si è visti. Raramente le persone si fermano a considerare come comunicano in maniera visiva e consapevole le informazioni su se stessi a chi li guarda. Questa tecnica racchiude fotografie in cui qualcuno di diverso dalla Persona ha deciso quando e dove fare la fotografia, in questo modo la Persona controlla meno la sua posa e l’immagine di sé percepita dall’altro.
  1. AUTORITRATTI: qualsiasi foto che le persone fanno a se stesse, sia letteralmente che metaforicamente. In queste foto, la Persona esercita un controllo totale su tutti gli aspetti della creazione dell’immagine. Le foto che una Persona si auto – scatta, senza alcuna contaminazione esterna, permettono di esplorare chi è quando nessuno la osserva. Essere in grado di vedere se stessi, senza il filtro di qualcun altro, può avere un effetto molto potente e un grande beneficio terapeutico. Le persone possono utilizzare le proprie fotografie per stabilire un dialogo interno stimolando un dialogo non verbale diretto con se stessi. Davanti a queste foto la Persona potrebbe lasciarsi andare alle proprie emozioni. Questo è il motivo per cui gli autoritratti, nelle situazioni di terapia, sono immediati ed efficaci nell’attivare processi profondi di elaborazione.

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  1. ALBUM DI FAMIGLIA O ALTRE COLLEZIONI DI FOTO BIOGRAFICHE: sono le foto della famiglia biologica o quelle della famiglia di adozione. Sono le foto che sono state raccolte formalmente in un album o semplicemente tenute sparse, appiccicate sul muro o sulla porta del frigorifero, dentro il portafoglio, incorniciate sulla scrivania, sullo schermo del monitor, etc. Gli album fotografici sono una sintesi dei tre tipi di tecnica descritti precedentemente: quelle fatte dalle persone, quelle fatte alle persone e gli autoritratti. Queste fotografie, a differenza delle altre sono disposte in sequenza ordinata, ricordano luoghi speciali, persone significative che hanno avuto una particolare importanza nella vita della famiglia. Le pagine dell’album mostrano come le persone sono inserite all’interno del proprio sistema familiare, i ruoli di ogni componente e le modalità relazionali in essere. Gli album contengono anche persone dimenticate, segreti, miti e di conseguenza, ciò che tra le loro pagine è stato omesso risulta, dal punto di vista terapeutico, più significativo di ciò che di fatto si vede. In conclusione, gli album permettono alle persone di ri-vedere le loro esperienze, i loro legami e le loro relazioni con gli altri e di addentrarsi meglio nella sfera emotiva verso il passato e il presente.
  2. FOTO – PROIEZIONI”: questa tecnica è basata sul modo in cui le persone vedono il mondo intorno a sé attraverso delle lenti inconsce che influenzano percezioni, pensieri e sentimenti. Questa tecnica è chiamata “foto-proiettiva” poiché le persone proiettano sempre un significato sulle fotografie. Le “foto – proiettive” possono essere uno strumento efficace per aiutare l’autoconsapevolezza dei pazienti, soprattutto con coloro che sono abituati da tempo a sentire le proprie percezioni messe in discussione. Questa tecnica sostiene il processo di decisionale e di autorealizzazione.

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Oltre a queste tecniche principali ve ne sono altre utilizzate nei vari approcci psicoterapeutici, una di queste è il GENOGRAMMA FOTOGRAFICO. Si tratta di uno strumento terapeutico che prende ispirazione dal Genogramma classico di Murray Bowen. Nell’utilizzo di questo strumento risulta fondamentale inserire la Persona nella sua famiglia originaria, intendendola come il risultato dei vissuti delle generazioni precedenti (trigenerazionale).

L’utilizzo del Genogramma fotografico consente di osservare le ridondanze relazionali, far emergere i miti e i mandati familiari, sondare i processi di individuazione dalla famiglia d’origine, tutto allo scopo di dare vita a differenti modalità narrative. Il percorso inizia con la scelta delle foto che la Persona fa, dei frammenti di vita cristallizzati in “istantanee” che in un continuo gioco di proiezioni consentono l’emergere di particolari e significanti “inediti”, di connessioni ed aspettative sino a quel momento sconosciuti. Il filo conduttore è alimentato dai ricordi, che fanno da sfondo produttivo per il lavoro terapeutico.

Un altro utilizzo della fototerapia è il COLLAGE FOTOGRAFICO DI COPPIA che può evocare una comunicazione attraverso l’emozione di una foto o più foto. Attraverso le foto si può narrare la storia della coppia arrivando al presente. Attraverso le foto ci si può nascondere e permettere che esse parlino per conto dei partner. Si può in qualche modo delegare all’immagine la comunicazione di emozioni profonde senza mettersi in gioco in modo diretto, se non nel momento cruciale della loro scelta. Compito del terapeuta è facilitare un dialogo tra i partner attraverso il loro collage di coppia, tra i frammenti che lo compongono, lasciando che essi si esprimano, che parlino di loro, che facciano richieste l’un l’altro svelando conflitti e bisogni. Attraverso il collage fotografico di coppia è possibile sperimentare, ri-creare, riorganizzare, ri-significare all’infinito nuove e diverse ambientazioni come possibili metafore di stati emotivi e di situazioni di vita più evolutive.

Le tecniche di Fotovideo terapia sono numerose e forniscono molteplici possibilità terapeutiche, selezionate in base all’unicità e ai bisogni della Persona, della Coppia, della Famiglia o del gruppo terapeutico.

 

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