Nella letteratura scientifica, il termine stress si riferisce ad una reazione emozionale intensa a seguito di stimoli esterni che attivano risposte fisiologiche e psicologiche di tipo adattivo. Tale reazione costituisce una risposta necessaria, e non straordinaria, che l’organismo attiva di fronte agli stimoli esterni, allo scopo di mantenere e/o ristabilire il proprio equilibrio.
Lo stress è una risposta naturale di attivazione di meccanismi neurochimici il cui scopo è mettere le persone in grado di reagire e di affrontare le richieste ed i cambiamenti che la vita pone. E’ impossibile evitarlo, ma possiamo andargli incontro in modo efficace traendone vantaggio.
In altre parole, una certa dose di stress è utile e fa bene. Ciò che può risultare nocivo è la percezione di subire una pressione eccessiva e continua cui non riusciamo a far fronte, con ripercussione sulla salute fisica e psicologica. Ciò, ad esempio, può accadere quando abbiamo problemi sul lavoro e la nostra capacità di adattamento è sollecitata in maniera eccessiva, aumentando sensazioni di frustrazione, scoraggiamento e di malessere diffuso. Questa situazione, a lungo andare, può diventare molto faticoso.
- Dal momento che lo stress rappresenta una risposta di adattamento funzionale al mantenimento dell’equilibrio dell’organismo, non necessariamente va considerato un fattore negativo, ma quando la tensione non supera un certo livello di tolleranza, consentendo alla Persona di fronteggiare in maniera efficace gli stimoli esterni, si parla di STRESS POSITIVO, ovvero di eustress.
- Viceversa, quando la tensione va oltre il livello tollerabile, suscitando sensazioni di intensa e duratura inadeguatezza o di non controllo, si parla di STRESS NEGATIVO o distress.
Il risultato è che non dobbiamo, né possiamo evitare lo stress, ma dobbiamo imparare a fronteggiarlo, ridurlo e/o viverlo in modo più produttivo, evitando che possa trasformarsi in distress.
Che cosa sono le strategie di coping?
Ogni stressor (stimolo stressogeno) può essere avvertito e percepito in maniera diversa da persona a persona, a seconda della propria predisposizione e delle proprie caratteristiche individuali, tanto che ciò che può provocare disagio in alcuni, può essere neutro o addirittura piacevole in altri. Le caratteristiche legate alla Persona riguardano anche le strategie di COPING, ovvero STRATEGIE DI FRONTEGGIAMENTO, che possono essere utilizzate per modificare, da un punto vista cognitivo, emozionale o comportamentale, l’ambiente circostante e ripristinare l’equilibrio precedente lo stress.
Le possibili e potenziali strategie di coping che le persone usano per gestire le proprie preoccupazioni possono essere diverse e numerose. Ad esempio, di fronte ad una sfida lavorativa, il dover consegnare un lavoro nuovo e molto impegnativo mai svolto precedentemente, la Persona può attivarsi in diversi modi:
- Cercando di organizzare al meglio il lavoro e di individuare gli elementi utili allo svolgimento del nuovo compito, raccogliendo la sfida e offrendo il meglio di sé, cercando il lato positivo dei vari eventi (strategie di problem solving e di ristrutturazione cognitiva).
- Ricorrendo al consiglio e all’aiuto di colleghi che possono aver già affrontato compiti simili e/o facendosi sostenere emotivamente da familiari e amici (strategie di ricerca di supporto sociale).
- Tentando di evitare il problema occupandosi d’altro per non pensarci fino a negare il problema stesso (strategie di evitamento).
Mentre le prime due tipologie di strategie di coping (problem solving e ristrutturazione cognitiva, ricerca di supporto sociale) permettono alla Persona di affrontare efficacemente la situazione di stress lavorativo, trovando soluzioni concrete, inquadrando il problema in una prospettiva positiva e ricercando supporti sia emotivi che strumentali, le strategie di evitamento, pur riducendo velocemente l’ansia associata, non consentono di affrontare e risolvere il problema aumentando spesso anche vissuti emotivi pessimistici e di inadeguatezza e auto colpevolizzazione.
Come funziona il processo dello stress?
Secondo i due psicologi americani Lazarus e Folkman (1984), tra i primi ad occuparsi di stress e strategie di coping, la valutazione dello stress è il processo attraverso cui si attribuisce significato a ciò che avviene nelle transazioni tra Persona e ambiente.
Nello specifico, di fronte ad uno stimolo esterno, si attivano:
- Una valutazione primaria iniziale, in cui la Persona attribuisce allo stimolo esterno il significato di minaccia o di sfida positiva per il proprio benessere.
- Una successiva valutazione secondaria, nella quale la Persona attiva le proprie risorse individuali e adotta specifiche strategie di coping per far fronte a tale minaccia o sfida.
- Una terza valutazione che consiste nella reinterpretazione da parte della Persona, alla luce degli esiti delle strategie di coping attivate, degli stimoli esterni.
Quali sono gli esiti di tale processo di valutazione?
- Se le strategie adottate hanno risposto efficacemente agli stressor (stimoli stressogeni) ristabilendo l’equilibrio con l’ambiente, per la Persona si verificano conseguenze positive in termini di benessere e salute, e dunque eustress.
- Se al contrario, le strategie adottate hanno fallito nella loro azione impedendo il recupero dell’equilibrio con l’ambiente, per la Persona si verificano conseguenze negative in termini di malessere, disagi fisici, psicologici e sociali e dunque distress.
Lo stress sul lavoro fa riferimento a questo secondo esito, che spesso si verifica in concomitanza alla precarietà e incertezza sul lavoro, ai continui cambiamenti e innovazioni organizzativi, insieme ad uno scarso equilibrio tra vita privata e lavoro, nonché a carichi di lavoro sempre più intensi.
Un livello di tensione eccessiva e protratta nel tempo, nella maggior parte delle persone può influenzare negativamente la sensazione di benessere e il proprio stato di salute, con ripercussioni negative anche sull’efficacia ed efficienza delle organizzazioni.
L’esposizione a situazioni stressanti incide anche sul piano fisiologico della Persona, precisamente comporta l’attivazione dell’asse ipotalamo – ipofisi-surrene e del Sistema Nervoso Autonomo, con il rilascio degli ormoni dello stress (ad esempio, cortisolo, adrenalina e noradrenalina) e delle citochine pro ed anti-infiammatorie (ad esempio, interleuchina 6), che vengono definiti mediatori primari.
In altre parole, quando una Persona si trova ad affrontare stressor cronici o ripetuti nel tempo, si verifica una attivazione cronica o ripetuta nel tempo dei mediatori primari, la quale può influenzare dei mediatori secondari, a livello metabolico (ad esempio, insulina, colesterolo), cardiovascolare (ad esempio, pressione del sangue) e del sistema immunitario (ad esempio, proteina C-reattiva). Tali mediatori secondari modificano il proprio range di valori in risposta alla sovra e/o sotto produzione di mediatori primari. Sebbene a questo livello non siano ancora evidenti problemi per la Persona, il protrarsi nel tempo di questa situazione dà luogo ad un effetto di sovraccarico allostatico, caratterizzato dalla comparsa di problemi di salute, sia a livello fisico (ad esempio, disturbi cardiovascolari, diabete) che psicologico (ad esempio, la depressione).
Quali possono essere le cause dello stress sul lavoro?
In Europa, secondo i dati dell’European Academy of Occupation Health Psycology (EAOHP), le persone che soffrono di stress per il lavoro sarebbero circa quaranta milioni, quasi il 22% della forza lavoro. Nel nostro Paese invece sono stressati quattro milioni di persone.
Lo stress si sviluppa quando le richieste e le pressioni sul posto di lavoro, per un periodo prolungato, superano le risorse e le capacità di gestione, impattando sul benessere psicofisico della Persona e compromettendo la qualità del lavoro che della sua vita personale.
Potenzialmente, tutte le caratteristiche e le situazioni lavorative, in funzione anche della soggettività della Persona, possono costituire degli stressor. La ricerca scientifica ha identificato le FONTI DI STRESS SUL LAVORO, raggruppandole in due macro categorie, che possono configurarsi in modi diversi a seconda della specifica realtà organizzativa:
Fonti di stress relative al CONTESTO LAVORATIVO, con particolare riferimento alle possibilità di rischio connesse al lavoro nell’ambito dell’ente in cui si lavora:
- Cultura organizzativa: procedure poco definite, scarsa chiarezza negli obiettivi organizzativi, mission organizzativa non condivisa, limitati momenti di confronto in riunioni/incontri tra superiore e collaboratori, scarsa comunicazione fra settori/gruppi di lavoro, presenza di forme di autoritarismo, scarsa comunicazione e condivisione dei processi di cambiamento, in particolare la bassa disponibilità e accessibilità delle comunicazioni può spingere a ricercare le informazioni in modo più informale, incrementando situazioni di pettegolezzo e di lamentele verso il vertice e il sistema.
- Ruolo nell’ambito dell’organizzazione: scarsa chiarezza del proprio ruolo lavorativo, sovrapposizione di ruoli nella stessa Persona, assunzioni di diversi ruoli fra loro discordanti, svolgimento di compiti monotoni e poco stimolanti.
- Evoluzione della carriera: sistemi di valutazione inadeguati, criteri per l’avanzamento di carriera poco chiari e non trasparenti, scarsa attenzione alla crescita e alla valorizzazione della Persona, in particolare, importanti fonti di stress riguardano la scarsa possibilità di essere gratificati per il lavoro ben fatto, di essere valutati e valorizzati secondo criteri equi e chiari a tutti, di ricevere opportunità e sostegno per lo sviluppo professionale e l’avanzamento di carriera.
- Autonomia decisionale/controllo: scarsa possibilità di partecipazione ai processi decisionali, limitata autonomia decisionale sul proprio compito di lavoro, presenza di rigidi protocolli di supervisione sul lavoro svolto.
- Relazioni interpersonali sul lavoro: relazioni conflittuali tra colleghi e con i superiori, mancanza di supporto sociale, relazioni con clienti/utenti maleducati, impazienti e portatori di richieste elevate, scarsa presenza di guida e feedback da parte dei superiori, presenza di regole non scritte che definiscono le interazioni fra persone, favoritismi nascosti e sentirsi costantemente sotto esame.
- Interfaccia famiglia/lavoro: assenza di un posto adeguato in cui svolgere la pausa (es. mensa aziendale), impossibilità o difficoltà a ottenere orari di lavoro flessibili o lavoro part – time, difficoltà nel raggiungere il posto di lavoro, scarsa attenzione a conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari ed extra-lavorativi, necessità di portarsi il lavoro a casa, difficoltà a trovare il tempo per la propria vita privata e sociale.
FONTI DI STRESS RELATIVE AL CONTENUTO LAVORATIVO con particolare riferimento alle possibilità di rischio connesse al lavoro nell’ambito dell’ente in cui si lavora:
- Carico e ritmo lavorativo: variazioni improvvise nella quantità di lavoro, ritmi di lavoro pressanti e/o insufficienti a terminare il compito, elevata responsabilità decisionale nell’esecuzione e risoluzione dei compiti, compiti ripetitivi, elevato sforzo nella regolazione di emozioni e reazioni comportamentali (doversi, ad esempio, mostrare sempre sereni, nascondere stanchezza e stress, reprimere sensazioni di irritazione).
- Altri fattori di rischio possono riguardare la molteplicità di attività da svolgere, la difficoltà nel conciliare i tempi dei diversi impegni, all’impegno crescente nelle attività burocratiche.
- Ambiente e attrezzature di lavoro: ambiente di lavoro poco sicuro e poco confortevole, condizioni fisiche quali l’illuminazione, la temperatura, il rumore, la postazione, strumenti di lavoro inadeguati, obsoleti o non aggiornati, indisponibilità di idonei strumenti per l’attività.
- Pianificazione dei compiti: poca chiarezza o contraddittorietà nella definizione dei compiti, continue interruzioni, carenza di risorse umane e di strumenti per svolgere i compiti assegnati.
- Orario di lavoro: frequente lavoro straordinario, pause di lavoro non definite; programmazione oraria non pianificata né flessibile.
Quali possono essere le conseguenze dello stress?
Le conseguenze dello stress possono riguardare sia i vissuti e i comportamenti, sia la salute fisica e psicologica, con effetti a breve e a lungo termine. Quando la tensione esercitata dalle fonti di stress è in linea e non eccede le risorse della Persona, si avranno forme di tensione positive a livello di stati affettivi (serenità, gioia, etc.) e di comportamenti (altruismo verso i colleghi, impegno, motivazione, soddisfazione lavorativa). Questo succede, ad esempio, quando si è sotto pressione per raggiungere qualcosa cui si tiene molto e da cui si ricaverà gratificazione, ad esempio un obiettivo lavorativo, un avanzamento di carriera, un premio economico.
Al contrario, una tensione eccessiva esercitata dalle fonti di stress potrà comportare risposte negative e disfunzionali, ovvero forme di tensione negative, interferendo con il benessere della Persona. È ciò che succede quanto ci si trova in situazioni non volute e/o a subire fattori stressanti simultanei, ad esempio una variazione delle mansioni di lavoro inaspettata e senza aver ricevuto una formazione adeguata, tale da causare disagio.
- SUL PIANO EMOTIVO: una tensione negativa potrà portare la Persona a provare emozioni spiacevoli quali ansia e apprensione, rabbia e risentimento, delusione e invidia, gelosia e imbarazzo.
- SUL PIANO FISIOLOGICO: si possono verificare disturbi gastrointestinali, cardiaci, dermatologici, respiratori, dell’alimentazione.
- SUL PIANO DEL COMPORTAMENTO: si può riscontrare un cambiamento nello stile di vita in termini di tabagismo, alcolismo, dipendenza da farmaci, alimentazione scorretta.
- SUL PIANO COGNITIVO: difficoltà di concentrazione, problemi nel ricordare informazioni, fatica a imparare cose nuove, difficoltà a prendere decisioni e frequenti pensieri negativi.
- SUL PIANO PSICOLOGICO: una tensione negativa può portare a fenomeni di ansia e tensione, fatica, depressione, difficoltà a gestire le emozioni, riduzione dell’autostima e della fiducia in se stessi, burnout professionale.
Tali manifestazioni negative dello stress nella Persona possono ripercuotersi, sull’ORGANIZZAZIONE.
Le possibili conseguenze riguardano fenomeni quali: assenteismo, ritardi, problemi disciplinari, infortuni ed incidenti, turnover, relazioni conflittuali, clima di deresponsabilizzazione, violazione delle norme, etc. Esse, a loro volta, potranno influire sui livelli di produttività e di qualità del lavoro svolto e sulla complessiva efficacia ed efficienza del servizio erogato.
In quest’ottica, appare fondamentale RICONOSCERE ALCUNI SINTOMI PRELIMINARI DELLO STRESS PROFESSIONALE:
- Frequente sensazione di stanchezza generale, mal di testa.
- Difficoltà di concentrazione e di espressione.
- Sensazione di noia, confusione, irritabilità.
- Insoddisfazione lavorativa.
- Calo di prestazione professionale.
- Disturbi del sonno.
- Sbalzi di pressione.
- Bruciori di stomaco, variazioni nel battito cardiaco, oppressione al petto.
Che cos’è il burnout professionale?
Il burnout è una condizione di profondo esaurimento fisico, emotivo e mentale e si verifica quando la lavoratrice o il lavoratore è sottoposto a un carico di stress cronico, derivante da una prolungata esposizione a stressor (stimolo stressogeno) che superano le capacità di coping della Persona. Non è semplice stanchezza, ma un vero e proprio collasso che rende impossibile svolgere il proprio lavoro in modo efficace.
Fra le principali componenti del burnout si riscontrano:
- l’ESAURIMENTO EMOTIVO, inteso come la sensazione di sentirsi logorati e “svuotati” dal proprio lavoro a causa di un sovraccarico emotivo dovuto al contatto prolungato con utenti/clienti.
- la DISAFFEZIONE, in termini di distacco emotivo e mentale dall’organizzazione e dagli utenti/clienti, percepiti come la fonte del proprio malessere. Si evidenza nel distacco e distanziamento dalle persone e comportamenti di isolamento. Rappresenta il modo in cui la Persona cerca di difendersi dall’intensa attivazione affettiva ed emozionale evocata dalla situazione lavorativa.
- l’INEFFICACIA PROFESSIONALE, ovvero un senso di inadeguatezza al ruolo e di impossibilità di fornire le prestazioni richieste, che conducono la Persona a sentirsi professionalmente impotente e/o incompetente.
Le persone che soffrono di burnout lavorativo possono sperimentare un calo significativo della produttività, di motivazione e di impegno al lavoro, una maggiore irritabilità, difficoltà a concentrarsi, fatica a prendere l’iniziativa, desiderio di cambiare lavoro, etc.
A livello fisico, il burnout può essere accompagnato da sintomi come insonnia, cefalea, dolori muscolari persistenti, stanchezza generalizzata, disturbi gastrointestinali, etc.
Il burnout rappresenta un rischio serio per la salute e può portare a conseguenze significative, come ansia, depressione, disturbi psicosomatici, senso di disinteresse e insoddisfazione, senso di impotenza, di frustrazione, di fallimento, desiderio di isolamento sociale, etc.
È molto importante, dunque, RICONOSCERE I SINTOMI PRELIMINARI DEL BURNOUT AL FINE DI PREVENIRE IL SUO INSORGERE.
Le 4 fasi del burnout
Il burnout professionale non si manifesta improvvisamente, ma ha sintomi che si presentano in maniera graduale, in un processo descritto in quattro fasi.
- ENTUSIASMO: il lavoro è investito di aspettative irrealistiche. Un primo campanello d’allarme è che la Persona sembra avere una dipendenza da lavoro (workaholism) arrivando a sacrificare anche il suo tempo libero. Si aspetta di riuscire a fare grandi cambiamenti e di ottenere successo e riconoscimenti in breve tempo.
- STAGNAZIONE: è la fase immediatamente successiva alla delusione delle aspettative. Il lavoratore si accorge che gli sforzi fatti non hanno dato i risultati sperati: deluso e amareggiato, inizia a adottare un atteggiamento passivo e rinunciatario.
- FRUSTRAZIONE: a questo punto il lavoratore si sente inutile, incapace di svolgere il proprio lavoro. Iniziano a comparire sentimenti di rabbia non solo verso i colleghi e i superiori, ma anche verso gli utenti cui è rivolta la propria professione.
- DISIMPEGNO: apatia e cinismo prevalgono. La Persona si sente completamente svuotata e inizia a non avere voglia di fare niente, spesso avverte senso di colpa e di inutilità. Tutto quello che prima la entusiasmava del suo lavoro sembra ora aver perso significato.
Chi convive con questi sintomi potrebbe chiedersi quanto dura il burnout?
Non esiste una risposta univoca, perché il disturbo potrebbe durare da qualche settimana fino a qualche mese, a seconda delle strategie che la Persona mette in atto per fronteggiare i sintomi. Se non risolto, il burnout potrebbe protrarsi anche per periodi più lunghi. Riconoscere la situazione di difficoltà è già il primo passo per poter affrontare il problema cercando di ripristinare i confini tra vita personale e lavorativa.
Qual è la differenza tra stress sul lavoro e burnout professionale?
Non è sempre facile ravvisare la differenza tra lo stress sul lavoro e il burnout dal momento che le due condizioni si manifestano in modo molto simile dal punto di vista sintomatologico.
Lo stress è dato da fattori che agiscono una “pressione” sulla Persona, mettendo alla prova le sue capacità. Quando si prolunga nel tempo e porta a un vero e proprio esaurimento delle risorse personali si arriva al burnout.
In altre parole, lo stress è una reazione momentanea che può rientrare nella norma abbastanza facilmente. Il burnout, invece, è una condizione che con il tempo tende a cronicizzarsi, alternando il benessere psicofisico della Persona.
Caratteristiche individuali che possono influenzare la vulnerabilità o la resistenza allo stress?
Alcune caratteristiche legate alla personalità individuale possono incidere sull’esposizione ai fattori di stress, sulla loro percezione così come sulla reattività individuale. La personalità, infatti, condiziona il modo in cui la Persona valuta cognitivamente ed emotivamente le diverse situazioni.
PERSONALITA’ DI TIPO A
Vi sono alcuni tipi di personalità che spingono a ricercare situazioni di sfida e di stress. Tali personalità sono fortemente coinvolte nel lavoro sino a trascurare, talvolta, dimensioni importanti della vita quali la sfera affettiva e familiare. Sono personalità contraddistinte da ambizione, competitività personale e sociale, desiderio di avanzamento e riconoscimento, ma anche da aggressività, spesso repressa, e dalla tendenza a volere fare più cose in modo perfetto e in breve tempo. Esse mostrano una più alta esposizione allo stress e vulnerabilità allo sviluppo di malattie cardiovascolari (infarto, ictus, ipertensione). Una personalità di tipo A determinerà necessariamente esiti negativi per la salute: le situazioni stressanti, se affrontate con efficaci strategie di coping, potranno rappresentare per la Persona anche una rilevante fonte di gratificazione e crescita.
PERSONALITA’ DI TIPO B
Sono meno sensibili allo stress. Esse si distinguono per il saper essere pazienti e non competitive se non in maniera selettiva e proporzionata all’obiettivo, per il parlare con calma ascoltando attentamente l’interlocutore, per il non subire la pressione del tempo e per l’essere capaci di rilassarsi e di dedicarsi ad interessi alternativi al lavoro.
PERSONALITA’ DI TIPO C
Vi sono poi alcune caratteristiche di personalità che consentono di far fronte in modo differenziato agli stressor (stimoli stressogeni) e alle potenziali conseguenze personali e organizzative, ovvero:
- La RESILIENZA si riferisce alla capacità delle persone di far fronte agli eventi stressanti riorganizzando in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. L’esposizione a queste ultime sembra addirittura rafforzare le persone piuttosto che indebolirle anche grazie ad una corretta adozione delle strategie di coping. Una Persona resiliente riesce, a dispetto delle avversità e degli ostacoli, a fronteggiare in maniera efficace le situazioni improvvise e negative che le si presentano, a mantenere alta nel tempo la motivazione, a sentirsi personalmente responsabile degli eventi (locus of control interno) stimolando la progettualità e la spinta all’azione. Si tratta, dunque, di persone che allo stesso tempo si mostrano ottimiste e speranzose, autonome e proattive, flessibili e determinate, capaci di lavorare in gruppo e di valorizzare il ruolo dell’esperienza.
- L’OTTIMISMO, quale disposizione generalizzata ad aspettarsi esiti positivi e di fiducia nei confronti del futuro, stimola la Persona a sforzarsi maggiormente per raggiungere gli obiettivi prefissati e a porsi in maniera positiva di fronte all’esperienza e a ciò che riserva il futuro. La letteratura scientifica ha evidenziato che i pessimisti, oltre ad avere un livello di stress “basale” più elevato rispetto agli ottimisti (ovvero cortisolo più elevato), si contraddistinguono anche per una minore capacità di “gestire” lo stress quando si trovano in situazioni difficili. Questo può essere spiegato per il fatto che gli ottimisti, credendo fortemente che le situazioni difficili possono essere superate si attivano prontamente, attraverso l’utilizzo di strategie di coping finalizzate al problem solving, per ricercare soluzioni. E ciò, fa sì che il livello di cortisolo decresca ulteriormente. Al contrario, i pessimisti tendono ad aspettarsi il peggio dalle situazioni, evitano le sfide e rifuggono dal problema, adottano strategie di coping di evitamento che, non consentono di risolvere il problema e incrementano spesso vissuti di inadeguatezza e auto colpevolizzazione che vanno ad aumentare lo stress. Gli ottimisti sono dunque, naturalmente, più “protetti”.
- Avere un buon livello di AUTOEFFICACIA spinge la Persona a credere nelle proprie capacità di organizzare e realizzare le azioni necessarie al raggiungimento dei risultati e a mantenere un’alta motivazione in ciò che fa. Le persone con elevati livelli di autoefficacia affrontano, ad esempio, compiti difficili considerandoli come sfide stimolanti piuttosto che come situazioni minacciose da evitare.
- l’AFFETTIVITÀ NEGATIVA può influenzare la risposta allo stress, spingendo la Persona a provare stati emozionali sempre negativi e a percepire se stessa, il proprio stato di salute fisica e psicologica, e il mondo circostante, negativamente. Essa, in particolare, determina una propensione a vedere il mondo e se stessi attraverso delle lenti grigie. In questo modo, le persone con elevata affettività negativa possono trovarsi ad affrontare situazioni lavorative potenzialmente più stressanti (per esempio, essendo esposti a maggiori livelli di conflitto con i colleghi/superiori a causa del proprio eccessivo nervosismo) o reagire in maniera più negativa (in termini di emozioni negative quali ansia, rabbia o irritazione) alle situazioni stressanti.
PERSONALITA’ DI TIPO D
Sempre l’affettività negativa, unitamente all’INIBIZIONE SOCIALE (la tendenza a non condividere con gli altri le proprie emozioni negative per il timore di essere rifiutati) caratterizza quelle persone che manifestano livelli più elevati di distress (tristezza, ansia, pessimismo, …) e una maggiore insoddisfazione per la vita in generale.
Alcune persone possono, inoltre, mostrare una sorta di “irresistibile” spinta interiore (compulsiva) a lavorare eccessivamente. Tale spinta viene definita in letteratura workaholism, ovvero dipendenti da lavoro, e riguarda sia l’aspetto cognitivo (ad esempio, il non riuscire a smettere di pensare al lavoro anche quando si è a casa o in famiglia), sia l’aspetto comportamentale (ad esempio, effettuare un numero eccessivo di ore di lavoro indipendentemente da necessità economiche o esterne alla persona). Ciò che contraddistingue in particolare un workaholic è la mancanza di volontà nel trovare momenti di stacco e di confine fra la vita professionale e quella personale, la perdita di controllo degli spazi e dei tempi dedicati al lavoro, l’incapacità di accettare i propri limiti e la presenza di una concezione prevalente del vivere “per lavorare” che sostituisce quella del lavorare “per vivere”. Le persone workaholic, non “staccando mai” dal lavoro anche con il pensiero e lavorando in maniera eccessiva, non sono in grado di “recuperare” gli sforzi investiti sul lavoro mediante adeguati processi di rilassamento. In assenza di tale recupero, la Persona dovrà quindi sforzarsi sempre di più per mantenere performance lavorative adeguate, e ciò può determinare nel tempo problemi di salute anche gravi, fra cui burnout, ansia, depressione, disturbi fisici e alimentari. Questa dipendenza da lavoro può interferire anche con i rapporti affettivi e amicali inducendo importanti stati di isolamento.
Statisticamente, esistono anche altri fattori individuali che possono favorire il rischio di stress sul lavoro:
- ETA’: i giovanissimi e gli anziani sono più a rischio.
- GENERE: le donne presentano un rischio più alto, anche in virtù del loro doppio ruolo di lavoratrice e madre-casalinga.
- SITUAZIONI DI DISABILITA’ E PROVENIENZA DA PAESI STRANIERI.
Anche la propria specifica storia personale e il contesto familiare e sociale in cui si è inseriti possono contribuire a rendere più o meno forti le risorse personali e la conseguente risposta alle richieste ambientali.
Che cosa può fare la Persona per prevenire e gestire lo stress sul lavoro?
Esistono alcuni fattori quali le RISORSE PERSONALI e le STRATEGIE DI COPING che possono aiutare il lavoratore fronteggiare meglio le criticità e a sopportare le eventuali tensioni che possono presentarsi sul lavoro. Secondo la corrente di pensiero denominata “psicologia positiva”, essere positivi, ovvero ad esempio concentrarsi sulle proprie qualità, rappresenta un’importante e preziosa “difesa naturale” contro i possibili effetti negativi dello stress. Essere positivi sul posto di lavoro significa credere nelle proprie capacità di efficacia, essere motivati a raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissati, concentrarsi su ciò per cui si sta lavorando, imparare a leggere gli eventi negativi e le sconfitte come temporanei e circoscritti, vivere il cambiamento come un’opportunità per crescere professionalmente e non come una minaccia, mantenere la speranza anche di fronte ad una frustrazione.
L’attivazione ottimale di tali risorse (autoefficacia, resilienza, ottimismo, etc.) consente di superare più efficacemente le tensioni e le difficoltà in cui ci si imbatte, di svolgere il lavoro in maniera più produttiva e gratificante, nonché di contribuire, in senso più ampio, alla vita sociale. QUESTE RISORSE INDIVIDUALI possono contribuire a ridurre la frequenza di vissuti di burnout e di sintomi di strain psicofisico cui si accompagna anche una maggiore soddisfazione per il lavoro. Per tale motivo è importante ALLENARLE E CERCARE DI POTENZIARLE.
Anche le strategie di coping, ovvero quelle strategie cognitive, emozionali e comportamentali che permettono di fronteggiare lo stress, possono essere apprese e potenziate così da reagire più efficacemente alle situazioni avverse e di stress.
LA PERSONA PUÒ:
- Agire per eliminare la bassa autostima per migliorare la resilienza e la capacità di coping attraverso un PERCORSO PSICOLOGICO volto a ritrovare l’autostima. Potenziare l’autostima significa anche ritrovare le risorse personali che si sono spente e ripristinare un senso positivo di valore di Sé e capacità nel fare le cose (autoefficacia).
- Prestare attenzione ai segnali del corpo: ascoltare la sensazione di affaticamento, la difficoltà a dormire, etc., intervenendo, senza lasciar correre.
- Agire sullo stile di vita: fare attività fisica, migliorare l’alimentazione, dormire a sufficienza, praticare Mindfulness e attività di rilassamento muscolare.
- Cercare di instaurare con i colleghi rapporti interpersonali positivi da cui poter trarre supporto e anche consigli operativi, comunicare i propri problemi e le proprie esigenze ai superiori.
- Rivedere il proprio modo di rapportarsi al lavoro e il significato che gli attribuiamo, senza sentirsi invasi dalla dimensione professionale.
- Pianificare gli impegni in modo ragionevole e sostenibile, per facilitare la gestione delle attività senza sovraccaricarsi.
- Ritrovare un equilibrio tra lavoro e vita privata, riscoprendo il valore delle priorità nella vita.
- Imparare a “staccare la spina”, ovvero nel tempo fuori dal lavoro dedicarsi ai propri interessi, alla famiglia e ad attività piacevoli e ricreative.
Che cosa può fare l’organizzazione per prevenire e gestire lo stress sul lavoro?
L’azienda a cui competono le principali responsabilità di prevenzione, riduzione ed eliminazione dello stress nel lavoro deve mettersi in discussione al fine di attuare tutte le misure di ordine procedurale e operativo possibili. Tali misure possono essere effettuate in gruppo o in modo individuale e possono avere finalità preventive o correttive rispetto a specifici segnali di stress.
L’AZIENDA PUO’:
INTERVENIRE A LIVELLO ORGANIZZATIVO
A partire dall’individuazione dei fattori lavorativi che causano stress, tali interventi si propongono di migliorare la struttura e le pratiche lavorative, nonché i fattori fisici e ambientali:
- Interventi di ristrutturazione dell’organizzazione, delle condizioni e degli strumenti di lavoro.
- Interventi di job-design in termini di rotazione delle mansioni e allargamento/arricchimento dei compiti.
- Politiche di gestione delle Risorse Umane (criteri per l’avanzamento di carriera chiari e trasparenti, adeguati sistemi di valutazione del potenziale e della performance, etc.,).
- Promozione di un sistema di comunicazione aziendale efficace nelle indicazioni a tutti degli obiettivi organizzativi di prevenzione e tutela.
- Diffusione di procedure che consentono l’identificazione chiara ed univoca delle attività, dei compiti e dei carichi di ogni lavoratore.
INTERVENIRE A LIVELLO DELL’INTERFACCIA INDIVIDUO – ORGANIZZAZIONE
Si propone il miglioramento dell’adattamento persona – lavoro e delle relazioni sul lavoro:
- Aumento della partecipazione e condivisione degli obiettivi e delle strategie aziendali.
- Maggiore discrezionalità e potere di controllo/autonomia sul compito lavorativo.
- Incremento di attività di sostegno e supporto da parte della dirigenza ai singoli e ai gruppi di lavoro.
- Promozione del lavoro di squadra per l’individuazione dei problemi e la loro risoluzione.
- Implementazione di sistemi family – friendly per favorire la conciliazione lavoro/vita familiare.
INTERVENIRE A LIVELLO INDIVIDUALE
L’azienda si propone di accrescere nel personale la conoscenza sui temi dello stress, potenziare le risorse personali e sostenere il lavoratore e la lavoratrice:
- Interventi di informazione/sensibilizzazione sulle cause e conseguenze dello stress.
- Interventi formativi volti ad accrescere le competenze tecniche del lavoratore e dunque a rafforzarlo professionalmente.
- Interventi formativi di potenziamento delle abilità di coping e delle risorse individuali per una migliore e più efficace gestione dello stress.
- Interventi formativi per accrescere le competenze relazionali in termini di gestione dei conflitti e delle emozioni, nonché di comunicazione.
- Interventi di sostegno psicologico individuale, interni o esterni rispetto all’organizzazione.
- Interventi di prevenzione e riduzione dello stress attraverso programmi di Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR).
Dal pensiero all’azione
Una soluzione che negli ultimi tempi stanno adottando le organizzazioni più virtuose è quello di investire sulla prevenzione e sulla gestione dello stress sul lavoro, questo per promuovere la salute psicofisica dei propri dipendenti, nonché il benessere organizzativo.
Una CONSULENZA ORGANIZZATIVA con uno psicologo professionista è orientata al benessere e a creare ambienti di lavoro equilibrati, produttivi e motivanti. Ogni intervento è personalizzato rispetto ai bisogni specifici del Cliente (es. azienda di grandi e piccole dimensioni, ente formativo, struttura sanitaria, studio associato di liberi professionisti, etc.) puntando a creare soluzioni sostenibili e a lungo termine.
Una consulenza organizzativa diviene un processo interattivo tra Cliente (sistema organizzativo) e consulente psicologo, giungendo a co – costruire una soluzione organizzativa efficace ed evolutiva.
L’obiettivo è quello di intervenire strategicamente a sostegno della PROMOZIONE DEL BENESSERE PSICOLOGICO, FISICO, COGNITIVO, EMOTIVO E RELAZIONALE e della PREVENZIONE E RIDUZIONE DELLO STRESS SUL LAVORO attraverso azioni che connettano il benessere e la salute della Persona e gli obiettivi di business.
Puoi contattarmi per scoprire come possiamo progettare insieme una soluzione personalizzata, affrontare le sfide della tua organizzazione, promuovere la salute fisica e psicologica, migliorare il clima lavorativo, la gestione del cambiamento, la comunicazione e la produttività.
Come?
- Percorsi di formazione.
- Sessioni individuali di supporto psicologico.
- Programmi personalizzati per leader, manager e team per la gestione e la prevenzione dello stress.
Fonte: Stress & Benessere sul lavoro – Università degli Studi di Padova – Dott. De Carlo, Dott.ssa Falco, Dott. Bartolucci, Dott. Marcuzzo