Il Disturbo di Dismorfismo Corporeo o dismorfofobia rientra nella più ampia classe dei disturbi somatoformi che si caratterizzano per la presenza di sintomi fisici non giustificati da alcuna condizione medica generale, nonché dall’effetto di assunzione di sostanze o da un altro disturbo mentale.
Le ricerche sulla dismorfofobia condividono l’ipotesi secondo la quale, all’origine di tale disagio, ci sarebbe una mescolanza di fattori di natura genetica, sociale, culturale e psicologica, nonché in presenza di:
- Tratti di Introversione nella Persona.
- Tendenza al perfezionismo.
- Visione negativa della propria immagine estetica.
- Significativa sensibilità estetica.
- Abusi e/o episodi di abbandono durante l’infanzia.
L’elemento caratteristico della dismorfofobia si esprime attraverso la preoccupazione da parte della Persona per un difetto nell’aspetto fisico, che può essere completamente immaginario, oppure, se è presente una piccola anomalia fisica, la preoccupazione del soggetto appare eccessiva rispetto al reale difetto.
Le preoccupazioni riguardano difetti lievi o immaginari della faccia o della testa, come i capelli più o meno folti, l’acne, le rughe, eventuali cicatrici o manifestazioni vascolari, asimmetrie o sproporzioni del viso o eccessiva peluria sul corpo. Altre apprensioni dei soggetti dismorfofobici riguardano la forma, le misure o qualche altro aspetto di naso, occhi, palpebre, sopracciglia, orecchie, bocca, labbra, denti, mascella, mento, guance o testa, addome, cosce, torace, etc.
Ogni parte del corpo può diventare motivo di preoccupazione e può riguardare simultaneamente diverse parti del corpo.
Attraverso quali comportamenti si esprime la dismorfofobia?
Le Persone che esprimono dismorfofobia adottano comportamenti peculiari, tra i quali:
- Nascondere con ogni mezzo possibile l’ipotetico difetto del corpo.
- Sentirsi in ansia in mezzo alle altre persone per la paura che quest’ultime si accorgano dell’ipotetico difetto.
- Rivolgersi alla chirurgia estetica per pianificare un possibile intervento di correzione della presunta imperfezione. Eseguire l’intervento e non eliminare il senso di disagio.
- Confrontare costantemente il proprio aspetto fisico con quello delle altre persone.
- Osservarsi allo specchio per molte ore al giorno o evitare gli specchi in maniera categorica.
- Evitare i posti affollati, la partecipazione a situazioni o eventi sociali, etc.
- Nel momento in cui un individuo fa osservazioni sul tratto anatomico ritenuto imperfetto, provare forte senso di disagio e sofferenza.
- Sottoporsi a diete restrittive e praticare attività fisica in maniera incessante.
Secondo il DSM – 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), la dismorfofobia è una malattia correlata al Disturbo ossessivo compulsivo, poiché, la Persona si trova a ripetere continuamente precisi gesti, come fossero dei rituali dai quali è impossibile esimersi.
Queste Persone mettono in atto compulsioni allo scopo di esaminare, migliorare o nascondere il presunto difetto. Ad esempio, tendono a controllarsi allo specchio o ad altre superfici riflettenti, mostrano eccessiva cura del proprio aspetto, tendono a pettinarsi o lavarsi ripetutamente, effettuano confronti continui con l’aspetto fisico altrui, ricercano rassicurazioni o tentano di convincere gli altri circa l’esistenza del proprio difetto.
Quando insorge la dismorfofobia?
Parimenti, a soffrire di dismorfofobia sono sia uomini che donne. Il disagio può insorgere durante l’adolescenza ed è presumibilmente connesso ai cambiamenti evolutivi dell’età.
Nel caso in cui si esprima in Persone adulte subentrano complessità nella sfera dell’autostima, dell’adattività sociale e relazionale, nel raggiungimento degli obiettivi personali, scolastici e professionali, innescando stati psicologici di grande sofferenza, senso di vergogna circa il proprio presunto difetto, d’inadeguatezza ed impotenza.
Con quali patologie è correlata la dismorfofobia?
La dismorfofobia è molto diffusa tra le persone con una storia di depressione o ansia sociale, tra i soggetti con disturbo ossessivo compulsivo o disturbo d’ansia generalizzato e tra le persone affette da anoressia nervosa o bulimia.
Un sottotipo di dismorfofobia, chiamato vigoressia o dismorfia muscolare, è una malattia contraddistinta dalla continua e ossessiva preoccupazione per la massa muscolare, l’allenamento, la massa magra, una dieta ipocalorica e iperproteica e la tenuta atletica del corpo che può condurre la Persona a all’utilizzo di sostanze dopanti e/o steroidi anabolizzanti per la crescita dei muscoli, con ripercussioni sulla salute del soggetto, nonché su quella sociale.
Intervento terapeutico
La diagnosi di dismorfofobia si basa su valutazioni mediche e psicologiche, sulla storia clinica e sul confronto tra il quadro dei compartimenti del presunto paziente e i criteri diagnostici riportati dal DSM-5.
In genere, il trattamento della dismorfofobia associa psicoterapia e, in relazione alla complessità del problema, terapia farmacologica.
La strategia terapeutica si prefigge di accompagnare la Persona a identificare, gestire e prevenire comportamenti disadattivi e cognizioni automatiche e distorte che sostengono la preoccupazione ossessiva per un presunto difetto fisico.
E’, inoltre, funzionale individuare il trigger (grilletto), ovvero gli elementi che elicitano la sintomatologia e svolgere, sia durante le sedute che a casa, esercizi tesi all’apprendimento di tecniche di gestione e prevenzione dei sintomi, allo scopo di ritrovare una padronanza di se stessi e una qualità di vita appagante.
Durante il processo terapeutico, oggetto di indagine e di elaborazione è anche la storia del sintomo e del contesto relazionale ed emotivo all’interno del quale il comportamento dismorfofobico si esprime. Lo scopo è quello di comprendere come si è strutturato e come si mantiene il sintomo, il significato che esso assume nei contesti relazionali d’appartenenza della Persona e gli effetti che questo ha sulla sua vita personale e sociale, introducendo un cambiamento volto all’eliminazione del comportamento disfunzionale e al ritrovamento di un benessere fisico e psicologico.
L’intervento tiene conto dell’unicità della Persona, della sua storia e dei suoi bisogni, è sostenuto da un ascolto attivo e una comunicazione empatica che possa consentire alla Persona che esprime il sintomo di sentirsi libera di condividere il proprio racconto, iniziando a trovare delle possibili soluzioni al disagio sperimentato.
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